Molte imprese italiane aprono il mercato ad aziende straniere senza rendersene conto. Ecco come

Tempo fa fui contattato da un’impresa straniera (in quel caso era un’azienda cinese) specializzata – come MICROingranaggi – nella produzione di parti meccaniche di precisione. Questa azienda mi chiedeva di inviare alcuni disegni tecnici dei nostri prodotti, affinché potesse farmi un preventivo. E fin qui, nulla di nuovo, perché di richieste del genere ne riceviamo parecchie. Se poi fossi rimasto soddisfatto del preventivo, sarebbero seguiti dei campioni gratuiti dei pezzi, così che potessi provarli e testarne la qualità, con l’obiettivo – alla fine di tutto – di farmeli acquistare.
Siccome non era la prima volta che ricevevo una proposta simile, decisi di approfondire, facendo quello che l’azienda mi domandava. Ricevetti così un preventivo che reputai indubbiamente interessante, e – dopo poco – l’azienda in questione mi scrisse: “Per capire meglio come costruire il pezzo e realizzare prototipi della miglior qualità possibile, ai nostri tecnici sarebbe utile conoscere i campi applicativi del prodotto”.
Richiesta sacrosanta e più che lecita. Richiesta che, però, al tempo stesso mi fece suonare un campanello d’allarme. Così decisi di fermarmi lì e di non proseguire la trattativa.

Perché scelsi di lasciar perdere? Perché diverse volte ho assistito a dinamiche simili a questa: stesso incipit e medesimo epilogo. Epilogo che però è tutt’altro che piacevole.
Mi spiego meglio. In genere accade che

l’impresa italiana decide di acquistare un prodotto da un’azienda concorrente straniera

(che spesso è cinese, ma questa potrebbe essere una casualità e pertanto non generalizzabile).

Quella stessa impresa italiana pensa di fare un affare d’oro, perché compra a un prezzo stracciato e poi rivende sul mercato del nostro paese con un margine significativo pur restando competitiva.

La sua scelta, infatti, è prettamente economica: magari produrre quel determinato articolo le costa 600 euro quando, comprandone uno uguale da un’impresa cinese, riesce ad averlo a soli 250. In genere però poi quella stessa scelta le si ritorce contro, perché – seppur involontariamente –

la porta, di fatto, ad aprire il mercato al produttore straniero.

Vi faccio un esempio pratico. Mettiamo il caso che l’azienda italiana A produca e venda sedili per auto e che abbia una certa fama a livello europeo per la qualità dei suoi prodotti. Poi supponiamo che un bel giorno decida di comprare sedili per auto dall’azienda cinese B (azienda magari neppure troppo conosciuta) riuscendo a ottenerli a costi contenuti, e che poi inizi a rivenderli.

È molto probabile che, a quel punto, il cliente storico dell’azienda A decida di comprare il nuovo prodotto dal suo storico fornitore italiano, proprio per la fiducia che ripone nel suo operato: il prodotto me lo sta dando una società di cui mi fido, che lo ha selezionato, testato e controllato; quindi la qualità sarà sicuramente buona.
Nel momento, però, in cui quel prodotto resta sul mercato per un paio di anni, dando prova di essere effettivamente di buona qualità, l’azienda straniera B ha la possibilità (e, diciamocelo, anche tutta la convenienza) di presentarsi dai clienti del produttore italiano A con quello stesso prodotto. Magari però scontato del 50%.

Il risultato? Il produttore italiano non vende più.

Avete mai assistito a una situazione analoga?
Vi sembra tanto lontana dalla realtà? Mi piacerebbe conoscere il vostro punto di vista in proposito…

Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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