Vi è mai capitato di lavorare in smart working? Se sì, con che risultati?
Secondo l’Istituto dell’economia tedesca – e non solo quello – consentire ai dipendenti di lavorare da casa ne può far aumentarne la produttività. Molte imprese italiane (specie quelle più grandi) lo stanno da tempo testando per uno o due giorni la settimana, riscontrando buoni risultati.
Ma che dire del connubio tra industria manifatturiera e smart working?
Parto dall’ovvio: chi lavora in officina non può farlo in smart working. Su questo dubbi non ce ne sono, salvo scenari che – ora come ora – considero davvero troppo futuristici.
Premesso ciò,
sono portato comunque a pensare che, al momento, lo smart working sia una modalità operativa indicata quasi solo ed esclusivamente per chi si occupa di servizi e non per realtà manifatturiere.
Le aziende che offrono servizi, infatti, il più delle volte occupano persone che lavorano prevalentemente da sole e che non hanno – salvo che per attività specifiche – una necessità continua e costante di interagire con i colleghi di persona. Per questo bastano uno smartphone e una connessione a internet e il gap della distanza fisica è pressoché colmato.
Date le condizioni, quindi, evitare per alcuni giorni al mese di spostarsi per raggiungere il posto di lavoro è un grande guadagno. Di tempo, questo sicuramente, ma anche di energie impiegate, oltre che naturalmente per un discorso ambientale.
Nell’industria manifatturiera la questione è un po’ diversa. Se penso a MICROingranaggi, per esempio, vedo che tra i diversi reparti (e quindi tra le varie persone coinvolte) c’è un continuo scambio di informazioni, un flusso di lavoro continuo che richiede contatti molto frequenti.
C’è, in altre parole, uno scambio e una connessione costante che neppure le nuove tecnologie al momento possono colmare.
Tempo fa inoltre scrivevo che permettere solo a una parte dei dipendenti di un’azienda di lavorare seguendo certe logiche (smart working, orari flessibili, attività ricreative per sbloccare eventuali stalli lavorativi, eccetera) avrebbe creato disparità che a lungo andare avrebbero finito per dare origine a malcontenti del personale e a contrasti fra colleghi.
Sì, in effetti è un rischio che si corre, ma tutto sommato non così grave. Sta infatti anche al buon senso delle persone comprendere che, quando si tratta di mansioni diverse, differente può essere anche il trattamento.