Ci sono manifestazioni fieristiche che chi opera nel comparto manifatturiero metalmeccanico del nostro paese avrebbe il dovere (oltre che il piacere) di visitare. BI-MU – la biennale della macchina utensile, robotica, automazione, tecnologie ausiliarie, subfornitura e servizi per l’industria – è una di queste, soprattutto perché negli ultimi 60 anni ha avuto un ruolo molto importante nella narrazione dell’evoluzione di questo settore e nella rappresentazione delle novità tecnologiche.
È innegabile che nel panorama fieristico generale degli ultimi anni (così come nello scenario economico mondiale) qualcosa sia cambiato. In parte per la crisi, in parte perché semplicemente le cose evolvono. I tempi e le dinamiche commerciali sono mutate. BI-MU stessa non è più la manifestazione di una volta. Penso sia giusto prenderne atto e considerare i 15-20 padiglioni delle edizioni del passato solo un nostalgico ricordo.
Il salone della macchina utensile che ho visitato la settimana scorsa ha infatti occupato solo quattro ampi padiglioni di Fiera Milano e questo è un dato di fatto. In fiera ho avuto l’occasione di parlare con molti espositori e visitatori e il messaggio che ho colto mi è sembrato pressoché unanime. Quasi tutti hanno lamentato il fatto che si sia trattato di una fiera parecchio “sottotono”: basso il numero degli espositori, così come quello dei visitatori.
Bazzicando il settore ormai da parecchi anni, ho fatto delle considerazioni in merito all’ultima Bi-MU e più in generale alle fiere di questo settore che mi piacerebbe condividere con voi.
Prima di tutto va constatato che BI-MU non è più l’unica grande fiera italiana della macchina utensile, ma deve ormai convivere con il salone primaverile di Parma, MECSPE, che negli ultimi anni è cresciuto molto.
Oggi i grandi colossi del metalmeccanico possono forse permettersi di esporre a entrambe le manifestazioni, ma la gran parte delle piccole realtà deve fare una scelta. Un discorso diverso va invece fatto per i visitatori: una volta ci volevano almeno due giorni per visitare la BI-MU, mentre ora ne basta uno solo, così come per il MECSPE di Parma.
Poi c’è la questione dell’impegno economico. Da sempre partecipare a una manifestazione fieristica comporta un costo non indifferente per gli espositori. Perciò, nell’ottica di un contenimento degli sprechi dai quali nessuno ormai può esimersi, mi chiedo quale senso possa avere investire in uno stand da 1000 o 1500 metri quadrati come accadeva in passato.
L’epoca dell’ostentazione quasi forzata è tramontata; oggi le fiere devono essere la vetrina delle novità ed eventualmente della riproposizione del proprio ‘cavallo di battaglia’. Nulla di più.
Non va dimenticata infine un’altra importante questione: le novità tecnologiche o di prodotto delle aziende non sempre sono disponibili per l’appuntamento fieristico a cui si vorrebbe partecipare e questo ha portato molte aziende a organizzare le cosiddette OpenHouse: costose sì, ma un po’ meno, se non altro per la non più necessaria movimentazione dei macchinari.
In generale comunque quest’ultima edizione di BI-MU non mi è affatto dispiaciuta, anzi! La mia opinione è che in generale manifestazioni come questa continuano a essere una vetrina importante e irrinunciabile. Anche se le nostre strategie commerciali ci hanno portati da alcuni anni a questa parte a destinare gli investimenti fieristici altrove, lasciando per ora in stand by la nostra partecipazione a Sfortec a vantaggio di SPS IPC Drives di Norimberga, dove il prossimo mese saremo per la terza volta, e di MECSPE, dove a marzo 2017 torneremo invece per il quarto anno consecutivo.
Lancio infine uno spunto di riflessione per gli enti fieristici in merito a una revisione dei costi al ribasso per gli espositori e a un miglior servizio di ospitality per i visitatori. Mi risulta che al momento questo non avvenga (o quantomeno non a sufficienza), ma credo che gli spunti di riflessione non manchino e qualcosa sarà fatto.