Ci sono progetti che ci riempiono di orgoglio e quello che abbiamo seguito per Genny Factory è senza dubbio uno di questi. E non solo perché è stata una sfida stimolante, ad alto contenuto tecnologico, che ci ha permesso di contribuire alla concretizzazione di un’idea rivoluzionaria. Ma anche, e soprattutto, per
il forte impatto sociale del progetto.
Faccio un passo indietro e parto dall’inizio.
Il 14 settembre 2022, alla fiera Rehacare di Düsseldorf,
l’azienda svizzera Genny Factory ha presentato Genny Zero, un innovativo dispositivo autobilanciante, nato da un’idea di Paolo Badano e progettato per cambiare per sempre il mondo della mobilità per persone con disabilità.
Come ci ha spiegato Giovanni Fulgoni, l’ingegnere a capo del progetto Genny, esiste un problema non indifferente che riguarda molti utenti di sedie a rotelle manuali, ovvero quello di sviluppare dolori e lesioni a spalle, collo, gomiti o polsi, dopo anni di utilizzo. E questo perché spingere una sedia a rotelle manuale non è un movimento naturale per le braccia, che, già di per sé, svolgono molte altre attività.
È proprio in questo contesto che è nata la prima versione di Genny, un progetto che, nel corso degli anni, si è evoluto fino ad arrivare all’ultima versione – la Genny Zero – alla quale ha contribuito anche MICROingranaggi progettando e costruendo il riduttore a cascata di ingranaggi.
Per farvi entrare nel vivo del progetto, voglio condividere una recente chiacchierata che ho avuto con Paolo Badano, durante la quale abbiamo parlato di come è nato il progetto, della sua evoluzione e della successiva collaborazione con MICROingranaggi.
Partiamo dall’inizio. Partiamo dall’idea.
CEO Badano, ci può raccontare com’è cominciato tutto?
“Diversi anni fa ho avuto un incidente stradale che mi ha costretto a rivedere completamente la mia mobilità quotidiana. Per anni ho cercato soluzioni per migliorarla, finché, nel 2009, ho visto per la prima volta un Segway PT, mezzo autobilanciante su due ruote ideato da Dean Kamen e prodotto da Segway Inc.
Il progetto, avviato negli anni Novanta, rappresentava una sfida tecnologica enorme e aveva richiesto investimenti per circa 100 milioni di dollari, senza però ottenere il successo sperato. Ma non tanto perché la tecnologia autobilanciante fosse sbagliata, quanto piuttosto perché i tempi non erano maturi. Venticinque anni fa l’elettrico era infatti ancora lontano dall’essere una realtà diffusa su larga scala.
Segway disponeva di ben 180 brevetti e, affascinato dalla tecnologia, decisi di andare negli Stati Uniti per incontrare Dean Kamen. Tra il 2011 e il 2012 ottenni un accordo per utilizzare la tecnologia alla base del Segway nel campo medicale e iniziai a lavorare con questo sistema, concentrandomi sulla seduta, con l’obiettivo di realizzare la prima sedia a rotelle su due ruote autobilancianti. Nacque così Genny 2.0.
Lavorare, però, senza avere accesso all’elettronica e agli altri aspetti coperti da brevetto è stato tutt’altro che facile perché poneva limiti enormi”.
E poi cosa è accaduto?
“Nel 2018, alla scadenza dei brevetti di Segway, ci chiedemmo: possiamo ricreare questa tecnologia in autonomia? La risposta fu affermativa e così iniziò un nuovo capitolo della nostra storia.
Non avendo internamente il know-how necessario per sviluppare tutte le componenti di Genny, ci siamo avvalsi del supporto di aziende specializzate. Anche perché, fortunatamente, operiamo in un’area che vanta uno dei più avanzati comparti tecnologico-industriali al mondo, con un’incredibile concentrazione di competenze.
Abbiamo quindi avviato collaborazioni con diverse società che si sono occupate di progettare il motore, l’elettronica, le batterie, il telaio e tutte le altre parti fondamentali del progetto. Inclusi gli algoritmi legati alla tecnologia inerziale, che permettono di mantenere l’equilibrio”.
Una delle componenti fondamentali del progetto è il riduttore a cascata di ingranaggi, realizzato con la tecnologia di MICROingranaggi…
“Esatto. Questo sistema è essenziale perché il motore di Genny opera a circa 8.000 giri al minuto, ma per le ruote è necessaria una riduzione di velocità di ben 24 volte. Un processo, questo, tutt’altro semplice, poiché richiede un know-how altamente specializzato. Abbiamo dovuto realizzare fusioni in alluminio per contenere gli ingranaggi, settare con precisione il sistema e ottimizzare aspetti critici come il consumo energetico e il rumore.
Grazie al contributo di MICROingranaggi, siamo riusciti a migliorare le prestazioni rispetto a quanto aveva fatto Segway e oggi la nostra trazione meccanica è più performante, silenziosa e fluida.
In questi anni abbiamo aggiornato tecnologicamente l’intero progetto, portandolo avanti di vent’anni rispetto alla prima versione di Genny. Oggi possediamo al 100% la tecnologia autobilanciante, abbiamo depositato altri sei nuovi brevetti e siamo riusciti, grazie alla collaborazione con aziende italiane come MICROingranaggi, ad acquisire un know-how fondamentale, che ci ha permesso di ricreare un mezzo tra i più complessi al mondo”.
Perché definisce Genny un mezzo complesso?
“È importante tenere presente che il nostro progetto ha più affinità con il mondo dell’avionica che con quello dell’automotive o del medicale e questo perché il funzionamento su due ruote autobilancianti comporta sfide uniche. Se un componente elettronico dovesse infatti guastarsi, si rischierebbe di cadere. Quindi, proprio come un aereo deve adottare sistemi ridondanti per garantire la sicurezza, anche noi abbiamo progettato il nostro mezzo con lo stesso principio.
Utilizziamo componenti duplicati che comunicano tra loro: se uno si rompe, l’altro subentra automaticamente. È per questo che il nostro sistema dispone di due batterie, due elettroniche che lavorano simultaneamente, come gli emisferi destro e sinistro del cervello, e due motori indipendenti.
In questo contesto i riduttori realizzati da MICROingranaggi rivestono un ruolo cruciale come componenti di sicurezza. Essendo gli unici elementi non ridondati, devono infatti garantire un’affidabilità assoluta. Per questo il livello qualitativo necessario è estremamente elevato, poiché un eventuale guasto avrebbe gravi conseguenze”.
Nel progetto Genny confluiscono know-how provenienti da tanti settori diversi. Come avete deciso quali competenze integrare internamente e su quali, invece, affidarvi a partner esterni, come nel caso della trasmissione meccanica?
“La base del nostro progetto è la piattaforma inerziale, ovvero l’elettronica che consente di mantenere l’equilibrio. Identificata questa come la nostra principale sfida, ci siamo chiesti: quali tecnologie già esistenti possiamo acquisire dal mercato?
Il processo è iniziato dalle basi matematiche, coinvolgendo un matematico per definire le equazioni fondamentali, successivamente trasformate in algoritmi e integrate nell’elettronica.
Poi abbiamo proseguito il lavoro assumendo ingegneri specializzati in elettronica e firmware e affidandoci a un’azienda esterna per sviluppare l’algoritmo necessario per l’autobilanciamento.
Abbiamo trascorso circa un anno e mezzo immaginando, scrivendo e testando, finché non siamo riusciti a governare con successo la tecnologia autobilanciante. A quel punto, grazie all’esperienza sviluppata internamente, abbiamo potuto coinvolgere aziende del nostro territorio con know-how specifici per portare avanti il progetto.
Il nostro ruolo è stato ed è quello di dirigere questa complessa “orchestra”. L’ingegnere Fulgoni, a capo del progetto, ha infatti il compito coordinare e organizzare le varie realtà coinvolte, ognuna delle quali contribuisce con il proprio lavoro, integrando in Genny il meglio delle loro competenze.
Un punto cruciale, che è sempre rimasto interno, è il design, perché riteniamo rappresenti un elemento fondamentale per l’identità e il successo di Genny”.