Mi sono trovato spesso a discutere con molti di voi in merito a cosa fare quando un cliente (o potenziale cliente) ci chiede un preventivo relativo alla produzione di un pezzo, inviandoci un disegno incompleto.
Leggendo i vostri commenti mi è parso di capire che si tratta di una situazione che si verifica abbastanza frequentemente. Troppo frequentemente, mi verrebbe da dire.
“Il disegno tecnico – e qui cito Wikipedia – è una forma di comunicazione visiva tra addetti ai lavori e chi si occupa di fornire dati di misura e di forma utili per la costruzione di manufatti fisici di vario genere.
[…] I disegni meccanici che escono da un ufficio tecnico devono contenere tutte le indicazioni necessarie alla fabbricazioni del pezzo”.
Questa è una regola fondamentale che chi fa il nostro mestiere deve tenere sempre ben a mente. Il disegno tecnico è un documento a tutti gli effetti che consente al progettista da un lato di tradurre graficamente le proprie idee, e, dall’altro, di fornire indicazioni al produttore per la realizzazione concreta del pezzo.
Ecco perché
ogni disegno deve essere univoco, completo, e interpretabile da tutti. Deve essere chiaro, facilmente leggibile proprio perché realizzato utilizzando un linguaggio convenzionale, unico e internazionale.
Questi temi vengono profusamente trattati sui banchi di scuola: il disegno deve essere costruito e visibile in tutte le sue parti; deve essere quotato; e devono esserne indicati i materiali, i trattamenti termici e le tolleranze geometriche.
E allora, mi domando,
se nei corsi di studi tutto questo viene insegnato, perché le nozioni imparate spesso non vengono applicate?
Commettere qualche errore è naturale, ci mancherebbe. Ma quando le lacune diventano sistematiche è probabile che ci sia qualcosa che non va.
Una ragione potrebbe essere legata all’utilizzo delle nuove tecnologie.
Una volta i disegni dovevano essere fatti a mano. Oggi invece si utilizzano software di progettazione estremamente complessi che da un lato sono molto utili perché semplificano buona parte del lavoro eseguendola praticamente in automatico (mi riferisco ad esempio alla trasformazione di un disegno da 3d a 2d). Dall’altro lato, però, fanno sì che spesso il progettista dia per scontato che il lavoro del software sia sufficiente e non si preoccupi di ricontrollarlo.
Un’altra causa è sicuramente la fretta: per molti imprenditori l’importante è costruire e consegnare. Prima si consegna, prima si fattura e prima si riscuote. Attenzione però: il tempo da dedicare alla cura dei disegni non deve essere considerato un lusso. Altrimenti rischia di innescarsi una serie di meccanismi a catena che portano inevitabilmente alla realizzazione di un pezzo non idoneo all’applicazione per cui era stato richiesto.
Il mio timore, a volte, è però che il male oscuro non sia tanto la necessità di fatturare il più in fretta possibile, quanto piuttosto la perdita del concetto etico e di soddisfazione delle aziende di vedere in commercio un prodotto che duri nel tempo ben oltre la garanzia.
Mi rendo conto che l’ultima ipotesi sia un po’ pessimistica, ma, a mio avviso, non andrebbe esclusa.
Voi cosa ne pensate? Perché capita spesso di avere a che fare con disegni incompleti?
Riscontrate queste problematiche in tutto il mondo o prevalentemente in Italia?
2 risposte su “Perché i disegni incompleti sono un problema comune nella produzione di ingranaggi”
Perché capita spesso di avere a che fare con disegni incompleti?
Le cause, a mio avviso, possono essere le più svariate.
Provo a citarne alcune:
1. Scarsa professionalità
2. Superficialità
3. Poco rispetto per la propria mansione
4. Disorganizzazione aziendale
Nel dettaglio:
Punto 1 –
Spesso, per non dire sempre, il compito di eseguire i disegni costruttivi (in 2D) è demandato a giovani privi di ogni conoscenza del processo produttivo, dell’officina intesa come parco macchine e loro caratteristiche funzionali.
Giovani che, pur essendo scolasticamente titolati, non hanno cognizione delle necessità di chi è chiamato a realizzare fisicamente un particolare meccanico. In breve, delle necessità dell’officina.
Giovani che pur essendo molto abili nell’uso del computer, in realtà non conoscono il ciclo di lavoro e non sanno quali parametri indicare oltre alle dimensioni e, aggiungo, come indicarle.
Mi fermo qui perché, al riguardo, forse non basterebbe un libro per dire tutto quello che andrebbe detto.
Si sà, un giovane ha bisogno di crescere, di formarsi “sul campo” dopo gli studi e, quindi, spetta anche al datore di lavoro creare le condizioni perché ciò avvenga.
Punto 2 –
La superficialità nell’esecuzione del proprio lavoro, in questo caso nella stesura dei disegni costruttivi, è figlia della scarsa professionalità (vedi punto 1), dell’indolenza, della disaffezione e della fretta di concludere.
A proposito di indolenza e disaffezione, si sente spesso dire, in gergo milanese:
“Ades dòpu vedum..”
A volte però, è il diretto superiore oppure, per le piccole realtà, il titolare dell’azienda che sprona in continuazione il subalterno il quale è costretto ad una esecuzione sommaria del disegno.
Punto 3 –
Capita spesso che un “disegnatore”, uno “spurca carta”, un “tirarighe” per usare termini in voga quando si faceva uso del tecnigrafo si senta un emarginato, una persona che ha scarsa visibilità aziendale, proprio per il ruolo che svolge, che lavora dietro le quinte quasi in “ritiro spirituale”.
Il “disegnatore” è quello che “mette nero su bianco”, che “ci mette la faccia” e che, in caso di errore, si prende le imprecazioni, i rimproveri e, chi più ne ha più ne metta.
Da qui, forse, la tendenza a dire e dare il minimo delle informazioni ed anche qualcosa meno!
Punto 4 –
Come già detto, il disegno ha il compito di definire i parametri costruttivi di un pezzo meccanico.
Questo compito, è demandato ad una figura professionale solitamente inquadrata in posizione subalterna nell’ambito di un ufficio tecnico.
Pertanto il suo operato dovrebbe essere controllato ed autenticato dal suo superiore prima che venga divulgato a terzi.
Se ciò non avviene, ecco che il disegno entra nel ciclo produttivo nello stato in cui lo ha definito chi non ha tutte le competenze per completarlo.
Cordiali saluti.
In MICROingranaggi lavoro con molti giovani (non solo in ambito di progettazione) e mi rendo conto che temi come la collaborazione e lo scambio tra chi ha più esperienza e chi ne ha meno è essenziale. Altrettanto essenziale è, ovviamente, che ci sia buona volontà in questa direzione da entrambe le parti.
A questo, come dici tu, si aggiunge il fattore tempo. A tutto c’è un limite, questo è chiaro, ma impiegare più tempo in funzione di una maggiore precisione (e quindi qualità) in quello che si sta facendo non deve essere considerato uno spreco quanto piuttosto un investimento.
Grazie per le riflessioni, a presto!