Quando sono entrato in MICROingranaggi, mi sono posto un macro obiettivo:
rendere quotidiano il concetto della qualità.
Ovvero scardinare la percezione che il sistema di gestione della qualità fosse un qualcosa di burocratico fine a se stesso o finalizzato all’organismo di certificazione. La strada intrapresa è quindi andata nella direzione di lavorare per ridurre sempre di più il gap esistente tra la percezione di avere un’azienda certificata e la consapevolezza di fare un lavoro che, di per sé, rientra nel concetto di qualità.
Il rendere quotidiano il concetto della qualità è strettamente legato al tema del miglioramento continuo a cui facevo cenno qualche settimana fa,
e parte della mia attività in MICROingranaggi legata a questo ambito consiste nel far accrescere il livello di consapevolezza delle persone sulle specifiche attività che stanno portando avanti.
È solo infatti avendo un buon livello di consapevolezza di quello che si sta facendo che è possibile migliorare.
Lo scrivo perché una tendenza frequente che ho osservato nel corso della mia carriera da auditor è quella in cui i lavoratori svolgono le proprie attività principalmente per inerzia, quasi solamente per portare a termine un compito che qualcuno aveva assegnato loro. Il più delle volte anche in modo diligente, ma senza porsi domande utili e costruttive.
Ebbene, vi posso assicurare che
ampliare il livello di apertura degli occhi delle persone sulle attività che portano avanti, focalizzare la loro attenzione sul fatto che stanno operando per ottenere un certo risultato, cambia nettamente la loro prospettiva.
Parte fondamentale del mio lavoro consiste quindi proprio nel fornire questo tipo di supporto ai colleghi nel loro lavoro quotidiano, così da capire se e dove vi è margine di miglioramento.
Vi faccio un esempio pratico. Prendiamo il caso di un operatore addetto al reparto dentatura che, oltre a gestire le macchine, debba effettuare anche delle registrazioni a pc relative alle attività che svolge. In un caso come questo sono fondamentali almeno due condizioni: la prima è l’organizzazione dell’area di lavoro (per esempio disposizione e distanza di strumenti e dispositivi); e la seconda è una percezione “approfondita” di ciò che si sta facendo (per esempio scopo e consapevolezza delle condizioni di esercizio).
Un’area di lavoro organizzata in modo NON efficiente – ad esempio con dispositivi distanti dal luogo di svolgimento delle attività, o condotta senza la necessaria partecipazione – può tradursi in sprechi di tempi ed esecuzione routinarie.
Ora proviamo a tradurre l’esempio in numeri. Consideriamo che l’operatore debba effettuare l’operazione relativa alla registrazione dei dati su un PC – ipotizziamo – 30 volte al giorno e che per raggiungere la postazione del PC, impieghi circa 60 secondi ogni volta. Nell’arco di una giornata si “muoverebbe” per un totale di 1800 secondi (quindi 30 minuti) solo per fare delle registrazioni.
In un caso come questo il mio lavoro è stato quindi, prima di tutto, quello di osservare come l’operatore svolgeva la sua attività, per poi decidere di riorganizzare la sua area di lavoro.
Ma non solo. La parte più difficile è stata poi quella di stimolare la partecipazione, promuovere su ogni operatore il dubbio che un’attività possa svolgersi in modo differente, “migliore” – per così dire – sia per l’efficienza che per l’ergonomia dell’attività stessa.