La settimana scorsa sono stato alla 34.BI-MU, la biennale della macchina utensile, un tempo manifestazione leader indiscussa del settore in Europa.
La mia impressione – condivisa da molti, credo – è stata di una bassa affluenza di visitatori e dell’assenza di nomi prestigiosi. Perché? Fondamentalmente perché alcune realtà hanno scelto di concentrare le proprie energie su eventi “in casa”, le cosiddette open house, organizzate proprio fra il 9 e il 12 ottobre (stessi giorni di BI-MU).
Ebbene, io comprendo il periodo difficile che sta vivendo il settore, drogato da anni di incentivi 4.0 e ora, conseguentemente e fisiologicamente, afflitto da un rallentamento produttivo che – dicono i dati diffusi da UCIMU – si aggira intorno al -20/25% rispetto al 2023.
E, in parallelo, sono anche consapevole del fatto che i costi per partecipare a una manifestazione come BI-MU possano essere molto elevati, non solo per l’affitto dello spazio espositivo, ma anche per la logistica, il personale, la pubblicità, l’allestimento dello stand e chi più ne ha più ne metta.
E così pure come sono conscio del fatto che organizzare una open house “a casa propria” possa essere una strategia per contenere le spese (ma ne siamo davvero sicuri?) e avere un maggiore controllo sull’esperienza del cliente.
Ci sono però altre considerazioni che ritengo ugualmente importanti.
Per un addetto ai lavori, visitare più open house in un solo giorno è logisticamente “impegnativo” (per usare un eufemismo) e, spesso, dedicarvi più giorni è impossibile. Ciò significa che un operatore del settore (che in genere è anche un potenziale cliente di un player della macchina utensile) si trova necessariamente costretto a fare delle scelte in merito a quali eventi partecipare, vedendosi così fortemente limitata la possibilità di visitare un’ampia gamma di espositori in un breve periodo di tempo.
E arrivo al punto.
Ma secondo voi ha senso? Ha davvero senso, per un paese come l’Italia, in un momento storico-economico come quello attuale, scegliere di organizzare la propria open house negli stessi giorni di uno dei più importanti eventi del settore?
Mentre in fiera è possibile visitare decine di espositori in un solo giorno, le open house frammentano l’attenzione dei clienti, provocandone inevitabilmente una dispersione.
Un visitatore è sottoposto a un sovraccarico decisionale, trovandosi di fatto costretto fare una selezione di cosa approfondire e cosa no, con il rischio di perdere opportunità di confronto diretto (spesso anche inaspettato, ma utile) con altri fornitori.
Senza contare che,
anche in termini di networking tra aziende, la fiera è ancora una piattaforma unica che difficilmente può essere replicata in forma frammentata.
Per come la vedo io, quindi, questa nuova tendenza può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Perché se, da un lato, l’open house permette di avere un’interazione più diretta e personale con i clienti, dall’altro, limita il numero di potenziali contatti che si possono stabilire in un breve periodo, rischiando di ridurre la visibilità e perdere interessanti opportunità di espansione.
Probabilmente, in futuro, assisteremo a un mix di eventi fisici, open house e soluzioni digitali che – come ben sappiamo – permettono di connettersi direttamente con i clienti attraverso piattaforme online, eventi virtuali, webinar e strumenti di marketing digitale.
Ma questo ci sta ed è giusto che sia così.
Al tempo stesso però le fiere dovranno, secondo me, evolvere per offrire sempre più valore a espositori e visitatori, così da riuscire a mantenere il loro spazio e la loro rilevanza.
Questo, fondamentalmente, è quello che penso io. Ma mi piacerebbe avere confronto anche con i produttori o rivenditori.
Quindi vi faccio due
Fiera di settore vs open house: quali strategie possono guidare la scelta tra queste due opzioni?
E quali sono le altre motivazioni, se ci sono, che spingono un’azienda a non partecipare più a una fiera storica come BI-MU?
Chiudo azzardando un’ipotesi: può essere, ad esempio, che si tratti semplicemente di una ritorsione verso l’ente fiera o verso UCIMU per diversità di vedute?