Dal fornitore tedesco si accettano i tempi di consegna indicati nell’offerta e da quello italiano no. Perché?

La settimana scorsa abbiamo parlato dell’esigenza della maggior parte delle aziende manifatturiere di azzerare i propri magazzini. Necessità che inevitabilmente finisce per dettare ai fornitori di tali imprese tempistiche di consegna sempre più ristrette e spesso ingestibili. A questo tema vorrei collegare un altro spunto di riflessione che nasce da una dinamica che vedo verificarsi piuttosto di frequente. Mi riferisco alla discrepanza di atteggiamento e di gestione da parte delle aziende italiane a seconda che il fornitore con cui si interfacciano sia tedesco (per fare solo un esempio) oppure italiano.

Parto da un esempio pratico:

se un’azienda tedesca scrive in un preventivo che ci vogliono due mesi per la realizzazione e consegna di un ordine, quella tempistica viene accettata. Ma se a farlo è un’azienda italiana, allora no e viene chiesto di fare più in fretta.

Come mai ciò accade? Perché questa differenza di atteggiamento?
La risposta più scontata potrebbe essere che purtroppo, per fama, l’impresa italiana ha la spiacevole tendenza a tardare le consegne, facendo per esempio diventare tre i due mesi indicati nell’offerta.
Io però non credo sia questa la motivazione reale e temo si tratti più che altro di una ragione culturale: in Italia – a differenza che in Germania – siamo infatti abituati sempre e comunque a contrattare su tutto: prezzi, tempi, condizioni di vendita… E di conseguenza siamo anche soliti trovare soluzioni (economiche, temporali e gestionali…) che non sono legate ai processi in generale, quanto piuttosto a ogni singolo caso.

Purtroppo le conseguenze per noi fornitori italiani sono tutt’altro che buone. Se infatti un’azienda del nostro paese ha a che fare con un fornitore tedesco e sa che ci vorranno sei mesi per ricevere la merce, si organizzerà di conseguenza ed emetterà l’ordine sei mesi prima. Questo perché sa già in partenza che potrà cercare di contrattare quanto più possibile, ma tanto comunque il fornitore tedesco resterà fermo sulle tempistiche indicate nell’offerta iniziale.
Se invece quella stessa azienda ha a che fare con un fornitore italiano, la questione sarà completamente diversa. Tale impresa, infatti, sa fin da subito che se avrà la capacità di insistere e di gestire bene la trattativa commerciale, riuscirà a farsi consegnare la merce con largo anticipo (magari anche di due mesi). Di conseguenza quindi non ordinerà la merce con sei mesi di anticipo, consapevole del fatto che tanto comunque contrattando un po’ riuscirà a riceverla in quattro. Per questo aspetterà l’ultimo momento per emettere l’ordine, mettendo così in forti difficoltà il suo fornitore.

Una dinamica del genere dovrebbe fare riflettere. Anche perché in questo modo non facciamo altro che darci la cosiddetta “zappa sui piedi” da soli.
Forse noi imprese italiane dovremmo cercare di restare quanto più possibile ferme sui nostri paletti, iniziando a non cedere sulle tempistiche indicate in partenza.
Così facendo rischiamo di perdere il cliente? Purtroppo sì, ma è anche vero che probabilmente staremo perdendo un cliente poco gestibile e che magari ci sta portando più problemi che benefici. Sarà anche molto probabile di conseguenza che, così facendo, potremo risparmiare parte delle nostre energie per impiegarle su nuovi clienti che magari avranno un rispetto diverso per il nostro lavoro e le nostre condizioni.
Non va però dimenticato che purtroppo generalizzare in questo caso non è possibile. Possiamo infatti permetterci di fare un discorso come questo solo nel momento in cui il nostro giro di clienti è tale da consentirci di avere un po’ di margine decisionale in questo senso.

Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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