Quando sono arrivato in MICROingranaggi mi sono posto l’obiettivo di rendere quotidiano il concetto di qualità. Volevo eliminare la sensazione che il sistema di gestione della qualità fosse un mero atto burocratico o semplicemente orientato all’organismo di certificazione, riducendo il più possibile il divario tra la percezione di avere un’azienda certificata e la consapevolezza di svolgere un lavoro che, di per sé, rientrava nel concetto di qualità.
In che modo?
Riscrivendo i processi e le procedure di lavoro in ottica lean. Intercettando, gestendo ed eliminando le imperfezioni e le criticità.
Senza perdere di vista il contesto generale in cui tutto questo si inserisce.
Il primo passo è stato quindi quello di
mettere sotto monitoraggio i processi, così da rendere possibile la loro valutazione attraverso dati.
Per farlo siamo partiti ricorrendo all’Overall Equipment Effectiveness (OEE), una metrica utilizzata per valutare l’efficienza produttiva degli impianti industriali, che si basa fondamentalmente su tre fattori: la disponibilità, che misura il tempo di funzionamento effettivo rispetto al tempo di funzionamento programmato; la prestazione, che monitora la velocità di produzione effettiva rispetto alla velocità teorica massima; e la qualità, che verifica la percentuale di prodotti buoni rispetto alla produzione totale.
Il percorso che abbiamo intrapreso può risultare, all’apparenza, abbastanza lineare: raccolgo i dati che mi servono, li analizzo, vedo dove c’è margine di miglioramento e intervengo.
Ma, ribadisco, all’apparenza. Quando abbiamo iniziato questo lavoro, ci siamo infatti trovati di fronte a una grande questione. Di fronte a un aspetto che – a nostro parere – non poteva e non può in alcun modo essere sottovalutato, pena la buona riuscita dell’intero progetto.
Quando metti sotto monitoraggio un processo, la persona direttamente coinvolta in quella specifica attività come lo vive?
Chiedere a un collega di prendere nota del momento di inizio e di fine di ciascuna attività non è mai piacevole, ma è un “male necessario” per acquisire consapevolezza in merito a come un reparto dell’azienda sta lavorando e a dove potrebbe esserci margine di miglioramento.
Ebbene, io questo lo so e lo capisco bene, perché da anni è il cuore delle mie attività. Ma si tratta di un concetto chiaro anche ai colleghi della produzione? Non sempre.
L’aspetto che, pertanto, è più importante considerare e trasmettere ai colleghi è, prima di tutto, che
mettere sotto monitoraggio un processo non significa voler controllare quello che le persone fanno.
Non significa pretendere che i colleghi svolgano il proprio lavoro sempre più in fretta, senza pause o senza potersi fermare a riflettere. Significa solo verificare che ciascuna attività venga svolta in maniera razionale, così da comprendere se e dove vi è margine di miglioramento. E, affinché ciò avvenga, chi è direttamente coinvolto deve capire esattamente cosa sta facendo e perché, così che collabori in maniera proattiva al miglioramento del processo.
Sta a chi – come me – si occupa del sistema di gestione mostrare pertanto alle persone coinvolte cosa succede se non si correggono determinate azioni.
Mi riferisco, ad esempio, al fatto che ogni attività svolta in azienda contribuisce alla formazione dei prezzi e l’analisi dei dati ci aiuta a verificare se la quantificazione economica effettuata è corretta. In caso contrario, si prospettano fondamentalmente due scenari, entrambi rischiosi e quindi da evitare.
Il PRIMO: l’azienda vende a un prezzo troppo alto, rischiando di perdere clienti attuali e potenziali.
Il SECONDO: l’azienda vende a un prezzo troppo basso, perdendo denaro.