Vi è mai capitato di trovarvi a proporre una possibile soluzione a un problema – per esempio un modo diverso di guardare o gestire qualcosa o proporre un nuovo strumento – e, anziché ricevere un’apertura o un interesse, di ritrovarvi ad affrontare critiche sugli aspetti mancanti? O, peggio, di osservare come il vostro interlocutore devii la conversazione su altre carenze non direttamente correlate alla soluzione proposta?
Sembra quasi che la difficoltà nell’analizzare una possibile soluzione derivi da una tendenza – che francamente fatico a comprendere – a ricercare ciò che manca, un’analisi di ogni possibile limite della soluzione senza prospettare modifiche o alternative.
Questo modo di affrontare gli accadimenti possiamo riferirlo a vecchio senso comune del “guardare il bicchiere mezzo vuoto”, un atteggiamento che spinge a guardare sempre a ciò che manca piuttosto che valorizzare quello di cui si dispone.
Faccio un passo indietro e parto dall’inizio rispondendo a una prima domanda: che cos’è un problema?
Un problema è quell’ostacolo che blocca il raggiungimento di un obiettivo.
Ebbene, quando si parla di problemi è sempre bene parlare anche di soluzioni, di “problem solving”.
Nel corso delle mie esperienze di studio e lavoro
ho individuato una serie di barriere che ostacolano la definizione di una soluzione e che vorrei condividere con voi.
La prima è quella legata al mental set, ovvero alla tendenza di molte persone a replicare un modello di soluzione adottato in precedenza, senza prendere in considerazione il fatto che potrebbero esserci delle alternative, magari più efficaci, che tengano conto del contesto. È importante non dimenticare, infatti, che la realtà muta e con essa anche i problemi, anche se possono apparire “uguali”.
Una seconda barriera è la cosiddetta fissità funzionale, intesa come rigidità di pensiero o di comportamento. È quando, in altre parole, si tende a immaginare un oggetto o uno strumento solo in termini della loro funzione tradizionale o più comune, senza considerare usi alternativi o creativi.
Poi ci sono i vincoli inutili, ovvero tutte quelle limitazioni che a volte ci imponiamo mentalmente, ma che in realtà non esistono davvero nei problemi o nelle situazioni che stiamo affrontando. Già solo riconoscere che questi limiti sono frutto della nostra immaginazione, può aiutare a “romperli”.
Un discorso analogo può essere fatto anche per le informazioni irrilevanti, ovvero per quei dati che, anche se presenti in una situazione o in un problema, in realtà non influenzano la soluzione. Sono quelle informazioni che, nel brainstorming, vengono definite dichiarazioni “fuori tema”.
Ma cosa fare quando, impiegando una soluzione adottata in passato, il problema non si risolve comunque?
Spesso può risultare utile rappresentare il problema diversamente, guardandolo da un altro punto di vista, magari attraverso il rapporto tra i vari elementi che lo compongono e articolandolo in una serie di sottoproblemi.
In generale, in ogni caso,