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Come definire degli obiettivi

Sono convinto che non esistano risultati nati senza una pianificazione alle spalle. Anche le scoperte o le invenzioni, che a uno sguardo superficiale appaiono casuali, in realtà sono state il prodotto di un'idea, di una sensazione, di una visione che – in quanto tale – ha ispirato un percorso verso qualcosa.

Partiamo da quello che, secondo me, è un fatto assodato: la definizione di un obiettivo – o di un set di obiettivi – è fondamentale per la buona riuscita di qualcosa.

Nel tempo ho addirittura maturato la convinzione che non esistano risultati senza una pianificazione alle spalle. Anche le scoperte o le invenzioni che, a uno sguardo superficiale potrebbero sembrare casuali, in realtà sono state il prodotto di un’idea, di una sensazione, di una visione che – in quanto tale – ha ispirato un percorso verso qualcosa.

“Per passare – ha scritto lo psicologo e scrittore Daniel Goleman nel suo Leadership that gets results – da una condizione di esistenza, dove gli eventi si susseguono senza alcuna partecipazione deterministica, al vivere partecipe, qui c’è un’azione dell’individuo che cerca di incidere sugli eventi trasformandoli in ‘accadimenti’”.

Premessa quindi l’importanza che ha il definire degli obiettivi, passiamo a capire quali caratteristiche devono avere e come si gestiscono.

Un obiettivo deve essere, prima di tutto, SMART. Dove SMART è acronimo di Specific (specifico), Measurable (misurabile), Achievable (raggiungibile), Relevant (rilevante), Time-Based (basato sul tempo).

Un obiettivo deve quindi essere ben specifico, non generico; misurabile, ovvero monitorabile in fase di controllo; raggiungibile, quindi realistico; importante, poiché in grado di cambiare le cose in uno specifico contesto; e naturalmente time-based, vale a dire accompagnato da una scadenza.

In genere quando ci si pone un obiettivo è perché esiste qualcosa che può essere migliorato. Qualcosa che, quindi, abbia una misura iniziale, che indichi da dove si sta partendo (quello che in gergo tecnico viene chiamato “baseline” o punto di partenza), e una direzione da seguire.

Poi, come quasi sempre accade quando si parla di “miglioramento”, in nostro aiuto ricorrono i dati, che – come sappiamo – devono essere univoci, completi, accurati, coerenti e tempestivi.
Raccogliere i dati, capire da dove provengono e rilevare sul campo quali dinamiche li hanno prodotti (attività che consiglio caldamente) permette di scoprire cose sorprendenti e che, in alcuni casi, mai ci si sarebbe aspettati. Ebbene, è solo grazie a questi dati che è possibile ipotizzare e condividere un target verso cui portare un processo o un’attività.

La gestione di un obiettivo, intesa come insieme di attività che si svolgono per produrre un risultato, è infine un processo estremamente delicato poiché richiede la partecipazione di tutto il team.

Questa è probabilmente la fase più complessa, proprio perché lavora sulle persone. Quindi su qualcosa di ben diverso dal mero rispetto di una regola, bensì sull’intento e sulla motivazione che spinge qualcuno ad aderire a quella regola.
Ebbene,

il consiglio che mi sento di dare in questo caso è quello di informare, interessare e ispirare chi è coinvolto in prima persona. Mettendo in pratica il concetto di leadership, inteso come “arte di persuadere le persone a lavorare per un obiettivo comune”.

di Giuseppe Friscia

È il Responsabile del sistema di gestione di MICROingranaggi.
Per molto tempo ha lavorato presso organismi di parte terza nel mondo delle certificazioni. Poi, a un certo punto della sua carriera, ha deciso di cambiare, passando dall'essere auditor all'essere soggetto che sottopone un sistema di gestione aziendale alla valutazione di un terzo.
La sua missione consiste nel rendere quotidiano il concetto di qualità.

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