Leggete questa frase:
“Il vaccino anti covid può provocare reazioni allergiche nello 0,04% delle persone a cui viene somministrato, una piccola percentuale di questi casi può aggravarsi fino a provocare la morte”.
E poi leggete quest’altra:
“Il vaccino anti covid è sicuro per il 99,96% delle persone a cui viene somministrato, nei casi in cui si manifestano reazioni allergiche, la maggior parte di queste si risolvono senza conseguenze”.
Come molti di voi probabilmente sapranno, da quasi tutta la vita mi occupo di micromeccanica di precisione, eppure durante la pausa estiva mi sono trovato a riflettere molto su un argomento apparentemente slegato dal mio lavoro, ma che in realtà è determinante per quel che riguarda la sfera professionale (e non solo in quella).
Non ho voluto infatti riportare queste due frasi, espressioni diverse di uno stesso concetto, per iniziare una piccola campagna personale pro vax o no vax al rientro dalle ferie. Per carità! Le ho riportate per parlare di comunicazione, un tema di cui non sono esperto, ma che mi affascina molto. Di cui amo leggere e ascoltare chi ne sa più di me, e poi anche – come sapete – condividere quello che trovo interessante.
È evidente – tornando al vaccino anti-Covid – che la prima frase che ho citato trasmette maggiore preoccupazione e/o ansia rispetto alla seconda.
Poiché è abbastanza noto che il nostro sistema emozionale reagisca diversamente in base a termini che stimolano nel nostro cervello collegamenti positivi e negativi. Così come è noto che questi collegamenti non siano da noi facilmente “pilotabili”, ma quasi sempre incontrollabili.
Pensate per esempio a tutte quelle frasi che contengono, ad esempio, riferimenti ad animali che evocano situazioni belle e positive, generando in noi reazioni migliori rispetto ad altre.
Se ricevo una email da un conoscente in cui si promuove una raccolta fondi su progetti per la salvaguardia dei delfini, sarò più predisposto a partecipare con una donazione rispetto alla stessa raccolta fondi per la salvaguardia del calabrone asiatico gigante. Diversamente dal calabrone, il delfino muove nella nostra mente solo pensieri positivi, di affetto e di ammirazione.
Questo ovviamente senza avere nessuna idea in merito a quale, tra i due, sia più importante e indispensabile.
Com’è noto, questa caratteristica umana emozionale è molto importante ed è il fulcro dei ragionamenti e delle attività di chi si occupa di comunicazione, marketing, giornalismo, politica. Ma è – a parer mio – utile e fondamentale in qualsiasi ambito professionale.
E questo perché
ogni concetto comunicato in un certo modo innesca delle emozioni che in moltissimi casi influenzano e condizionano reazioni, scelte e opinioni di chi c’è dall’altra parte.
Vi pare banale? Forse sì, ma io non sono così convinto che le persone, bombardate ogni giorno da milioni di messaggi, ne siano davvero consapevoli.
Tutti dicono che la comunicazione è importante, ma poi – nella realtà dei fatti – la pensano davvero così?
E ancora: siamo davvero tutti consapevoli del fatto che – come scrivevo tempo fa – riuscire a comunicare uno stesso concetto utilizzando, per esempio, forma e modi più diplomatici e quindi anche più educati, nonostante magari l’inalberamento del momento, può fare la differenza?
Spesso la fretta, la frenesia della quotidianità, il carattere personale che prevale, ci portano ad agire di impulso, a parlare senza pensare se magari esista un altro modo per dire quella stessa cosa. Se magari non abbia senso fermarsi un attimo e decidere di utilizzare alcuni piccoli accorgimenti nella comunicazione quotidiana che la rendano più efficace.
Penso a una comunicazione aziendale, alla richiesta di un aumento di stipendio o a qualunque altra cosa riguardi la sfera professionale (e, secondo me, anche quella privata). Ecco, in tutti questi casi credo non vada dimenticato che l’aspetto emotivo di chi legge o ascolta è fondamentale per la riuscita del messaggio che gli/le stiamo passando.