Quanto conta la dimensione di un fornitore?

Quando si arriva alla fine dell’anno ci si trova spesso a ‘tirare le fila‘ di quello che è stato per capire dove eventualmente si può andare a migliorare per stilare la cosiddetta ‘lista dei buoni propositi’ per l’anno nuovo. Vorrei perciò riprendere il discorso della settimana scorsa legato ai fornitori che non sono più in grado di darci quello di cui abbiamo bisogno.
Non molto tempo fa mi è capitato di fare il punto su un fornitore e di rendermi conto di aver ricevuto, solo quest’anno, 9 casi di non conformità a fronte di 12 ordini totali. Così ho telefonato in azienda e, non essendo riuscito a parlare direttamente con il titolare, ho chiesto di essere richiamato. Cosa che purtroppo non è avvenuta.
In questi casi è d’obbligo trovare nuovi fornitori. Non c’è alternativa. Anche se, aihmè, non è facile.

Dover lasciare un fornitore per noi è quasi come dover licenziare un dipendente e quindi è un fallimento. Nel momento in cui scelgo di affidarmi a un nuovo fornitore, infatti, investo delle risorse che – per un tempo più o meno lungo – fanno analisi, sopralluoghi per vedere le strumentazioni, e, più in generale, tutto ciò che serve alla creazione di un nuovo rapporto lavorativo. Se, dopo tre o quattro anni, si scopre che quel fornitore in realtà non va bene, ci si rende conto anche che il lavoro fatto fino a quel momento è stato inutile, e perciò che si è buttato via del tempo.

A questo si aggiunge la difficoltà di dover trovare un nuovo fornitore che risponda alle nostre esigenze. Di officine ce ne sono a migliaia, ma ovviamente non se ne può scegliere una a caso. Come scrivevo in un post di qualche tempo fa, bisogna fare selezioni e capire il più possibile da una indagine a priori per iniziare a farsi un’idea: che tipo di struttura ha, qual è il segmento di mercato di riferimento, quali materiali lavora, com’è attrezzata, se è disponibile ad acquisire nuove commesse, e così via.

Mi è capitato spesso di incontrare aziende che, a prescindere, non prendessero nemmeno in considerazione fornitori con un organico ridotto perché, proprio a causa della loro struttura limitata, non sarebbero riusciti a far fronte a eventuali imprevisti, mettendo così a rischio – in caso di forniture chiave – intere linee di produzione. Per certi aspetti un ragionamento di questo genere non è del tutto sbagliato.

Per altri versi, invece, penso anche che non solo sia giusto, ma al tempo stesso sia molto importante dare la possibilità ad aziende più piccole e meno strutturate di crescere. Noi per esempio stiamo affidando alcune commesse a un’azienda con un organico estremamente ridotto e non solo ci stiamo trovando bene, ma vediamo in loro la volontà e la determinazione di fare il possibile per riuscire starci dietro. Al punto che capita spesso che ci chiedano di cosa abbiamo bisogno per orientare – anche temendo conto di questo – gli investimenti futuri. Ecco, queste sono realtà che hanno un grande potenziale di crescita. Ed è giusto dare loro la possibilità di sfruttarlo. Certo, oggi non potremmo mai commissionare a un’azienda di due persone o poco più la fornitura di un elemento chiave per una linea di produzione, ma un domani chi lo sa, magari sì.

Voi cosa ne pensate? È giusto scartare a priori un’azienda poco strutturata oppure no?

Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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