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Dal settore Punti di vista

L’annoso caso dei fornitori che non ci danno più quello di cui abbiamo bisogno

In un post di qualche tempo fa ho parlato di come fare a scegliere un nuovo fornitore e di cosa fare quando sbaglia e ho scritto che, in questi casi, mi sembra corretto dare una seconda possibilità se il fornitore in questione si assume le proprie responsabilità e dimostra davvero di voler recuperare.
Oggi vorrei tornare sull’argomento perché mi sono reso conto che – per varie ragioni che in parte faccio fatica a comprendere – ci succede sempre più spesso di avere a che fare con fornitori (alcuni dei quali anche di vecchia data) che purtroppo non sono più in grado di darci quello di cui abbiamo bisogno. E con questo non intendo dire che la nostra attività si è spostata a un altro livello e che quindi le nostre richieste sono diverse rispetto a quelle di un tempo. Quello che chiediamo, infatti, sono in linea di massima le stesse cose di sempre e le difficoltà che riscontriamo sono legate per lo più a problemi di gestione che si possono racchiudere in due macro-categorie: rispetto dei tempi di consegna e qualità dei prodotti forniti. Problemi che a volte addirittura si verificano in contemporanea.

È facile immaginare che situazioni di questo genere creano complicazioni, perché non si possono prevedere con anticipo e, quando si verificano, è ormai tardi per riuscire a farvi fronte: se, banalmente, mi serve una vite da inserire all’interno di un motoriduttore e il fornitore me la consegna in ritardo o sbagliata, sono nei guai.
Vi è mai successo di trovarvi in una situazione analoga? A noi purtroppo – come dicevo – accade sempre più spesso ed è una questione che ci pare stia gradualmente peggiorando da dopo la crisi. Siccome per noi sta diventando un problema, mi sono trovato spesso a riflettere sulle ragioni che stanno alla base di queste annose situazioni. Magari si tratta di aziende che, con la crisi, si sono trovate a diminuire l’organico (anche drasticamente), finendo poi per trovarsi impreparati in concomitanza dei primi segnali di ripresa. Oppure di imprese che – pur avendo mantenuto lo stesso organico – non sono più abituate ai ritmi lavorativi di un tempo.

Cause molteplici quindi, ma alla base secondo me c’è sempre una comune mancanza di carattere organizzativo.
Qualche giorno fa ci è addirittura capitato di chiamare un fornitore per fargli presente che era in ritardo su un determinato codice e ci siamo sentiti rispondere che se lo era dimenticato perché lo avevamo ordinato con troppo anticipo. E non parlo di una realtà molto piccola, bensì di un’azienda con una struttura più grande della nostra.
Questo è il classico episodio indice di mancanza di organizzazione alla base, e fatti come questo capitano soprattutto nel caso di aziende guidate da imprenditori accentratori (gli stessi di cui parlavamo la settimana scorsa): quando gli input iniziano a essere troppi, le cose si dimenticano.

Se penso, poi, al caso specifico dei ritardi nelle consegne, mi viene in mente un’altra causa che viene espressa bene da un famoso detto milanese che dice: ‘Chi vusa püsé la vaca l’è sua!‘ (la mucca è di chi urla di più). Se ci pensate bene, in effetti, quante volte vi è capitato di notare che un fornitore assecondasse prioritariamente clienti più inclini al sollecito e ad alzare la voce, finendo inevitabilmente per mettere in coda le commesse di chi non si fa sentire.
In merito invece alla non conformità o alla scarsa qualità dei prodotti, credo dipenda principalmente dal fatto che si è un po’ abbassato il livello tecnico delle aziende, inteso come la capacità tecnica del personale. Magari si tratta di persone che non tengono più così tanto al proprio lavoro come una volta. Oppure che hanno troppe cose da fare e quindi si trovano costretti a mollare da qualche parte. O ancora per mancanza di formazione e aggiornamento dovuti anch’essi alla crisi.

Qualunque sia la causa, comunque, finiamo per esserne noi a pagarne le conseguenze. Quali soluzioni?

di Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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