Fabbrica del futuro, digitalizzazione e incentivi statali. Tante volte ne abbiamo parlato e in linea di massima sapete come la penso in proposito: la fabbrica del futuro per me è e sarà sempre di più quella che riuscirà ad andare alla stessa velocità di un mercato che cambia. Tutto il resto sarà più o meno direttamente legato a questo: macchinari, strumenti, professioni, reparti, e così via…
Una cosa però vorrei aggiungerla.
Non è raro sentir muovere critiche al nostro paese e ai nostri compaesani, non solo da parte di stranieri, ma anche da parte di noi stessi italiani. Di quanto siamo arretrati, disorganizzati e inaffidabili, per esempio. E probabilmente molte delle critiche che ci muovono (e che ci muoviamo) sono anche fondate, perché – pur non generalizzando – i nostri difetti li abbiamo. Ma qualcosa di buono, a mio avviso, facciamo anche noi.
Come immagino la gran parte di voi, anche io sono fermamente convinto del fatto che
il Piano nazionale Industria 4.0 (ora Impresa 4.0) messo in atto dal Ministero dello Sviluppo economico guidato da Calenda sia stata una grande manovra per l’economia italiana. Credo anche però che sia stata un po’ sottovalutato dal punto di vista politico (e non solo).
Nonostante se ne parli molto, sono infatti ancora tante (anzi troppe) le imprese italiane che hanno una scarsa conoscenza di quello che è Industry 4.0, che non hanno intenzione di investire in questa direzione (quantomeno non nel breve periodo) e che, di conseguenza, stanno attribuendo poco valore alla manovra del Governo in materia.
Senza contare che chi non è direttamente coinvolto addirittura ignora quello che è Industria 4.0 (e il mio timore è che queste persone siano la maggior parte).
Ovviamente non è di politica che voglio parlare (lungi da me!, e men che meno in periodo pre-elettorale). Dico però che
nessun Governo italiano, dal dopoguerra a oggi, aveva elaborato un piano così importante per lo sviluppo industriale del nostro paese.
Sicuramente la perdita di oltre un quarto del fatturato della manifattura italiana di questi ultimi dieci anni, dovuta in parte alla crisi e in parte anche a una mentalità arretrata, ha contribuito a far suonare un campanello d’allarme a chi di dovere. Una indagine condotta qualche anno fa da Ucimu aveva rilevato, per esempio, che i parchi macchine delle aziende italiane avevano un’età media di circa vent’anni e quindi una mossa finalizzata a uno svecchiamento in questa direzione era logica e naturale. Logica e naturale, ma non scontata.
Così come sicuramente i piani di sviluppo di altri paesi come la Plattform Industrie 4.0 della Germania o l’Alliance Industrie du Futur della Francia sono stati d’ispirazione.
Fatto sta, comunque, che un piano di sviluppo così importante non veniva fatto da molto molto tempo.
Inoltre l’Italia è stata la prima nazione che ha pensato, portato avanti e ottenuto la possibilità di dare il via allo sviluppo di un piano di azione congiunto con Francia e Germania, “un accordo di cooperazione trilaterale per supportare e rafforzare i processi di digitalizzazione dei propri settori manifatturieri e, conseguentemente, per promuovere gli sforzi messi in campo dall’Unione Europea in questo settore”.
Un piano che quindi si occuperà di studiare gli sviluppi di Industry 4.0 non focalizzandosi sul singolo paese, bensì lavorando su una visione comune, creando delle sinergie per tracciare una roadmap congiunta al fine di essere più forti e sincronizzati verso le realtà extraeuropee.
Morale: io dico che qualcosa di buono lo facciamo anche noi italiani, anche se spesso ci sottovalutiamo. Qualcosa di buono che va oltre la creatività, la qualità del made in Italy.