Lockdown parte terza (in Lombardia perlomeno).
Qualche settimana fa abbiamo (tristemente) “festeggiato” un anno di emergenza sanitaria, un anno in cui quasi tutto è stato stravolto e in cui – volenti o nolenti – ci siamo dovuti adattare a una situazione completamente nuova che ha toccato tutte le sfere della nostra vita. Socialità, lavoro, sanità, formazione, commercio, mobilità e chi più ne ha più ne metta.
Per tanti versi fenomeni come lo smart working sono stati la nostra salvezza. Vero è anche però che in taluni casi sono stati – secondo me – portati un po’ agli eccessi.
Pensate proprio allo smart working.
È stato quasi un miracolo se pensiamo alla situazione di un anno fa, quando ancora non sapevamo nulla del virus e non avevamo idea di come muoverci e di come continuare a lavorare. Nel corso di 12 mesi questo fenomeno è stato abbracciato dalla gran parte delle imprese italiane, incluse quelle storicamente più reticenti. Ognuna, però, lo ha fatto a suo modo.
Qualcuna è tornata al lavoro in presenza non appena è stato possibile; e qualcun altra usa lo smart working solo per alcuni giorni a settimana o in taluni periodi (come nel nostro caso). Ci sono però aziende che – dal mio punto di vista – hanno finito per esasperare questa modalità lavorativa. Queste realtà infatti (che forse sono più di quante possiamo immaginare) hanno tutto il personale in smart working da marzo 2020 e hanno intenzione di continuare fino a pandemia finita.
Altre, addirittura, hanno chiuso gli uffici dichiarando che il personale resterà in smart working per sempre.
Ecco: ma non è un po’ troppo?
Da anni sentiamo ripetere che le chiavi del successo sono lo spirito di squadra, la coesione e il team building, eppure oggi sembra quasi tutto ribaltato. Sbaglio?
ATTENZIONE: non voglio dire che smart working e spirito di squadra siano due concetti agli antipodi. O meglio non lo sono nel caso di un team di lavoro già formato e consolidato. Diverso è però se la squadra deve ancora essere formata o se una risorsa deve ancora essere inserita. Ecco, in quest’ultimo caso difficilmente lo smart working, secondo me, potrebbe funzionare con gli stessi risultati del lavoro in presenza. Perché