Le aziende meccaniche oggi sbagliano a cercare personale tecnico specializzato

Voglio tornare, ancora una volta, su un tema (quello del personale tecnico specializzato che considero molto, molto importante, per condividere con voi alcune riflessioni e conoscere il vostro punto di vista.
Nel titolo di questo post scrivo che

le aziende meccaniche oggi sbagliano a cercare personale tecnico specializzato.

Si tratta ovviamente di una provocazione.
È risaputo infatti che, di questi tempi, la gran parte delle aziende meccaniche sta ricevendo molti ordini e che, parallelamente, le recenti agevolazioni fiscali favoriscono l’acquisto di macchinari. Il che porta tali imprese a ricercare personale tecnico che si occupi di gestirli. Quindi addetti alla manutenzione, montatori, programmatori CNC, tornitori e fresatori e così via.
Ora – siccome più volte in passato abbiamo detto che trovare personale tecnico specializzato diventa sempre più difficile – la domanda che sorge spontanea è

dove pensiamo di trovare questi operatori della meccanica iperspecializzati?

Le risposte a questa domanda non sono poi così tante. La prima soluzione è quella di “rubarli” alla concorrenza, ingaggiando di fatto un’asta sullo stipendio. In alternativa si può pensare di attingere alle poche risorse disponibili sul mercato.
Ma quali sono le motivazioni che spingono una persona a cambiare posto di lavoro?
Magari uno stipendio troppo basso o comunque non commisurato alle capacità o alla mansione (caso raro, credo, se pensiamo a questo campo specifico). Oppure la ricerca di una sistemazione più comoda e/o vicina a casa. O anche il desiderio di lavorare in aziende dal futuro più delineato e sicuro. O, ancora, i contrasti personali nati con superiori o colleghi.

Tutto è possibile. Quello che non va mai dimenticato è che ogni impresa è diversa dalle altre, per storia, strategia, modo di pensare e così via, e che pertanto è importante che il tecnico che andrà ad assumere sia – oltre che esperto nella sua mansione e capace di portare la propria esperienza – anche in grado di adattarsi e plasmarsi sulla realtà della nuova azienda senza avere la presunzione che accada il contrario.
Se questo non succede, è facile che sorgano problemi. Problemi che potrebbero diventare ancora più significativi se, dal lato dell’impresa, vi è la necessità di far rendere da subito al 100% le nuove risorse per evadere più velocemente i tanti ordini ricevuti.

La tendenza che purtroppo vedo diffusa è quella di una visione imprenditoriale spesso corta; si pensa troppo al breve periodo, ma la strategia di formazione e inserimento che secondo me dovrebbe essere perseguita è quella a lungo termine, che poco (se non addirittura nulla) si fa influenzare dalle dinamiche dei mercati.

Sono quindi dell’idea che la soluzione migliore sia quella di tornare alle “scuole aziendali” di una volta.

Ovvero offrire agli studenti e ai neodiplomati la possibilità di crescere nelle aziende proprio come si faceva in passato, permettendo loro di acquisire competenze ma anche senso di appartenenza e orgoglio per la propria realtà. Poi, ovvio, un certo turnover ci sarà sempre (ed è giusto che sia così), ma la vera formazione secondo me è proprio questa.
In passato ho scritto che ci vogliono anche dieci anni affinché un tecnico sia formato al 100% e questo, per chi ha urgenza di ampliare il proprio organico per evadere i tanti ordini che riceve, potrebbe rappresentare un problema. Detto ciò, comunque, credo anche che se si riuscisse ad

attivare un piano di formazione costante, continuativo e indipendente dalle bizze dei mercati, si sarebbe sempre strutturati con personale formato a vari livelli, senza essere costretti a cercare tecnici che non esistono o che costano un occhio della testa perché si vendono all’asta.

Ecco, credo che anche questo sia uno dei prossimi obiettivi che dovrebbe porsi non solo la nostra classe politica, andando a lavorare per una crescita sistematica che sappia premiare le aziende che vanno in questa direzione, ma anche la classe imprenditoriale, che dovrebbe tornare ad acquisire quella lungimiranza che c’era negli anni Sessanta e Settanta.

Cosa ne pensate?

Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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