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Lavoro: cosa succede se domanda e offerta non sono sincronizzate?

Ho chiuso il post della scorsa settimana scrivendo che se da un lato il livello di scolarizzazione si è alzato tantissimo, è anche vero che se le nuove generazioni di figure professionali iper-preparate non trovano occupazione nell’ambito di studio, per lavorare devono necessariamente scendere a patti con la realtà e mettersi a fare altro.

Per ora situazioni del genere si verificano abbastanza raramente, con il risultato che

spesso ci si trova di fronte a tassi di disoccupazione piuttosto significativi a fronte di percentuali molto alte di imprese che cercano personale e riscontrano difficoltà nel trovarlo.

In passato avevo scritto che

il problema della disoccupazione a fronte di un numero consistente di imprese che cercano personale è la mancanza di sincronizzazione tra domanda e offerta.

Questo è indubbio e lo ribadisco anche oggi. Vero anche però che la vita porta, il più delle volte, a fare i conti con la realtà.
Se pertanto diventa complesso trovare un’occupazione nell’ambito di studio, due sono le possibilità: emigrare, con l’obiettivo di “cercare fortuna” altrove, oppure mettersi a fare un lavoro che non coincide con la propria formazione scolastica.

Ma qual è il risultato di questo secondo scenario?

Immaginiamo per esempio il caso di un giovane con una laurea in ambito umanistico che si trova costretto a fare l’operaio tecnico per poter comprare casa e mettere su famiglia. La voglia di lavorare a qualunque costo è più che pregevole, oltre che da ammirare. Vero è anche, però, che a fronte di un laureato in lettere antiche (è ovviamente solo un esempio) che si trova a fare l’operativo tecnico,

a rimetterci sarà il livello qualitativo del lavoro.

Per carità ci saranno sicuramente casi in cui la persona si impegnerà talmente tanto da andare a colmare le fisiologiche lacune scolastiche, finendo per lavorare anche meglio di chi ha una formazione tecnica e meno voglia di fare. Ma queste saranno casistiche, secondo me, piuttosto rare. Sarà molto più frequente trovarsi di fronte a tempi di inserimento in azienda decisamente più lunghi, perché la formazione tecnica sul campo dovrà andare in qualche modo a compensare le lacune scolastiche, con un’alta probabilità che comunque il livello qualitativo del lavoro ne risenta.

di Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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