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Il giusto compromesso tra buon senso e analisi dei dati

I dati sono oggettivi, imparziali e neutri, ma – a volte – devono essere interpretati tenendo conto anche di altri fattori che, pur incidendo sul risultato finale in egual misura o quasi, non possono essere quantificati né trasformati in numeri oggettivi, ma considerati solo nella loro dimensione qualitativa.

Tante volte abbiamo scritto che i dati sono oggettivi, imparziali e neutri, ma – come giustamente faceva notare Pietro Asti qualche settimana fa – è fondamentale considerare anche che, in un determinato contesto, possono restituire una risposta piuttosto che un’altra a seconda di come vengono letti.

E NON SOLO, aggiungo io.

I dati sono oggettivi, imparziali e neutri, ma – a volte – anche se restituiscono un risultato univoco e oggettivo, devono essere interpretati tenendo conto anche di altri fattori che, pur incidendo sul risultato finale in egual misura o quasi, non possono essere quantificati né trasformati in numeri oggettivi, ma considerati solo nella loro dimensione qualitativa.

Vi spiego cosa intendo partendo da una premessa.
Chi ci conosce sa che, secondo noi, non possono esistere realtà che lavorano a inefficienza zero, poiché in un’azienda c’è sempre qualcosa che può essere migliorato. E questo accade sostanzialmente perché le imprese evolvono.
Sulla base di questa convinzione, MICROingranaggi ha sempre prestato molta attenzione al miglioramento continuo in ogni ambito. Un percorso costante e continuativo che, per avere successo, non può prescindere dalla raccolta e dall’analisi dei dati.

Tuttavia,

ci sono situazioni in cui dovrebbe essere il buon senso a prevalere. Situazioni in cui i dati devono essere letti tenendo conto del contesto, che in genere cambia quando entra in gioco il fattore umano.

Vi faccio un esempio.
Raccolgo i dati del reparto dentatura e noto che un operatore tecnico altamente qualificato, durante la sua giornata lavorativa di otto ore, ne dedica una intera per compiti a “basso valore aggiunto”: quindi un’ora intera frammentata nell’arco della giornata, trascorsa a spostare carrelli da e per il magazzino, pulire utensili e via dicendo.
Ora converrete anche voi che, in un mondo ideale, sarebbe bene che questi compiti venissero svolti da risorse con una qualifica differente, minore per così dire (e, perché no, anche meno costosi!), soprattutto se consideriamo l’enorme difficoltà nel reperire personale tecnico specializzato.

Un’ora al giorno di un operatore tecnico altamente qualificato dedicata a compiti di “a ridotto valore aggiunto” corrisponde a circa 20 ore al mese. Ovvero due giorni e mezzo. Che, se ci pensate, non è affatto poco.

C’è però un altro aspetto da considerare. Un aspetto qualitativo.
Per quell’operaio specializzato, svolgere occasionalmente mansioni meno impegnative potrebbe rappresentare un utile diversivo, permettendogli di staccare e variare le attività e, quindi, contribuendo a tenere alta la sua produttività.

di Giuseppe Friscia

È il Responsabile del sistema di gestione di MICROingranaggi.
Per molto tempo ha lavorato presso organismi di parte terza nel mondo delle certificazioni. Poi, a un certo punto della sua carriera, ha deciso di cambiare, passando dall'essere auditor all'essere soggetto che sottopone un sistema di gestione aziendale alla valutazione di un terzo.
La sua missione consiste nel rendere quotidiano il concetto di qualità.

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