Lancio una provocazione.
Se un’azienda decide che per la fornitura di un articolo meccanico si può tranquillamente rivolgere a un produttore estero (cinese, per esempio) perché il rapporto qualità/prezzo del prodotto è migliore di quella del fornitore italiano, non dovrebbe considerare anche tutto ciò che questa scelta comporta, rischi compresi?
Lo scenario – come potete bene immaginare – è quello della pandemia, partita dalla Cina (con lockdown, blocchi nei trasporti delle merci e compagnia bella) e dilagata, uno dopo l’altro, in tutti i paesi del mondo.
Quando in Cina era ancora tutto chiuso o quasi tanti amici – lavoratori e titolari di officine meccaniche – mi raccontavano di ricevere molte richieste da clienti che, fino a quel momento, avevano sempre acquistato in Cina, ma che, per ovvie ragioni, si trovavano costretti a procurarsi la merce diversamente così da non dover rischiare di bloccare o rallentare le loro linee di produzione.
Decisione più che logica, lo avrei fatto anche io al posto loro. Quello che mi sembra un po’ meno logico o, quantomeno, meno rispettoso del lavoro altrui è aspettarsi (e in alcuni casi anche pretendere) che il fornitore alternativo (in questo caso quello italiano) dovesse “correre” per risolvere il problema del cliente che, una volta tornati alla normalità, con ogni probabilità sarebbe tornato ad acquistare in Cina. O sbaglio?
Sono certo che, con quello che sta succedendo in questi mesi, tutti quanti rivaluteremo le nostre catene di fornitura, prendendo in considerazione più a fondo pro e contro dello scegliere fornitori provenienti da paesi così lontani.
A questo proposito mi viene in mente la scelta fatta lo scorso anno da un nostro cliente, che – per evitare possibili blocchi sulle sue linee – aveva adottato la politica di acquistare le componenti più strategiche della sua produzione da due fornitori diversi e con posizioni geografiche non dico opposte, ma sufficientemente distanti da scongiurare una lunga serie di rischi.
Un scelta che, già allora, mi era sembrata piuttosto lungimirante. Oggi più che mai, soprattutto se consideriamo che la Cina è la fabbrica del mondo e che in un modo o nell’altro articoli o semplicemente materiali arrivano quasi esclusivamente da lì (pensate, per esempio, al cobalto utilizzato nella produzione di batterie, ad acciai speciali, oppure ai magneti permanenti utilizzati nei micromotori elettrici).
Potrebbe essere interessante, per esempio, fare un accordo con un importatore per gestire presso uno dei suoi magazzini in Italia una scorta minima di merce, così da poter far fronte a eventuali ritardi dovuti a scioperi o a problematiche legate ai trasporti. Questa operazione avrebbe ovviamente dei costi, ma che – a mio avviso – sarebbe opportuno valutare seriamente.
Alla luce quindi anche di quello che sta accadendo in questi mesi, vi faccio una domanda.
ha senso decidere di risparmiare su un prodotto che magari costa solo qualche euro rischiando di fermare la produzione e quindi la consegna di attrezzature o macchinari che ne valgono decine, se non centinaia di migliaia?
Penso e spero che questa emergenza sanitaria possa in qualche modo essere un aiuto per una valutazione più professionale e globale della sempre più difficile attività degli acquisti.