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È un bene o un male che un’abitudine venga stravolta?

Per tanti è un male, a volte addirittura drammatico. Io però non sono di questa idea e lo considero quasi un dono. Quando una quotidianità viene scossa si innesca un meccanismo che porta a rimettersi e rimettere tutto in discussione.

È un bene o un male che un’abitudine venga stravolta?
Molte persone non hanno dubbi: è decisamente un male, a volte addirittura drammatico.
Io però non sono di questa idea e, in alcuni casi, considero certi cambiamenti un dono.

Quando permane una routine per tanto tempo, sempre uguale, piacevole o meno che sia, tutti tendiamo ad adattarci. Come se ci assestassimo su uno standard, spesso minimo, qualunque esso sia.

Quando poi però quella routine viene scossa, allora si innesca un meccanismo che porta a rimettere in discussione tutto.

Alcuni dopo la pandemia si sono resi conto che la qualità della vita è molto più importante dello stipendio e hanno deciso di non tornare a lavorare in ambienti “tossici”, o che ritenevano tali. Semplicemente perché, per queste persone, non ne valeva più la pena, e il cambiamento ha dato loro il coraggio di cercare – e spesso di trovare – un equilibrio migliore.
Lo stipendio resta fondamentale per la maggior parte di noi e questo è un dato di fatto. Ma magari un grande stravolgimento, come l’emergenza sanitaria degli ultimi anni, è l’input necessario per rimettersi e rimettere tutto in discussione. La spinta che serve per provare a capovolgere una situazione che, a conti fatti, è negativa.

Ecco,

rimettersi e rimettere tutto in discussione. Questo è forse uno dei pochi strascichi positivi che ha lasciato la pandemia.

Qualcosa di analogo è avvenuto in ambito manifatturiero, dove tante aziende si sono messe a rivalutare alcune dinamiche che – vuoi per pigrizia, vuoi per la mancanza di una reale necessità, vuoi perché “tanto abbiamo sempre fatto così” – erano invariate da parecchio tempo.
Per esempio la scelta di considerare seriamente fornitori più vicini, poiché gli scambi commerciali con paesi molto lontani non lasciavano più pienamente soddisfatto nessuno.
E perché questa inversione di tendenza? Per il Covid? In qualche modo il Covid ha effettivamente influito, ma – a parer mio – non è stata l’unica ragione, né la più importante. Più semplicemente tante imprese si sono rese conto che se un fornitore è vicino e parla la stessa lingua (in senso lato), allora diventa più semplice capirsi, condividere quello che accade e, ad esempio, arrivare a contrattare anticipi e pagamenti vari in funzione delle oscillazioni del mercato. E lo stesso vale per le tempistiche produttive e di consegna della merce. Il Covid ha solo dato una spinta a questa presa di coscienza.

Lo stesso probabilmente accadrà anche con la guerra. Molto probabilmente, quando finirà, altri equilibri verranno stravolti e in qualche modo riscritti, nel bene e nel male.

di Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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