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Concetti lavorativi innovativi: funzionano davvero?

Non molto tempo fa mi è capitato di partecipare all’evento di inaugurazione della nuova sede operativa di un’agenzia di comunicazione del nord Italia. Le particolarità di questa nuova location erano il campetto da basket e la pista da bowling interni e uno scivolo per passare da un piano all’altro. Questi uffici mi hanno fatto immediatamente venire in mente quelli ormai noti che Google ha aperto negli ultimi anni non solo a Mountain View, ma anche piano piano in moltissime città di tutto il mondo.

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Ma perché un’azienda dovrebbe avere uffici tanto particolari?, verrebbe spontaneo domandarsi. Perché – secondo alcuni studi – la produttività dei dipendenti è strettamente correlata anche alla piacevolezza dell’ambiente in cui si trovano a operare. E questo sembra portare risultati ancora più soddisfacenti nel caso di chi esercita professioni creative. Non solo. Ad ambienti più gradevoli vengono spesso abbinati metodi lavorativi non tradizionali, che implicano – tra le altre cose – la libertà di orario a fronte del raggiungimento di obiettivi prefissati.

Mi sono così trovato a fare una serie di riflessioni su questo tema. È solo una moda del momento? Oppure si ottengono effettivamente risultati concreti? E se i risultati ci sono, questo concetto lavorativo può essere applicato anche alla classica azienda manifatturiera di cui il nostro paese è pieno? E ancora: lavorare secondo logiche così innovative porta realmente a una maggiore complicità tra datore di lavoro e dipendente oppure è solo l’immagine che alcune aziende vogliono dare all’esterno di sé?

Io credo sostanzialmente che a livello produttivo questo non sia possibile: se la produzione deve andare avanti, le macchine devono lavorare continuamente e pertanto chi le gestisce deve essere costantemente presente. Lo stesso vale per gli operai che lavorano in catena e per tutte quelle figure che operano a contatto con i clienti (receptionist, commerciali, addetti al customer service, eccetera).
A livello di ufficio tecnico, la questione cambia leggermente. Se infatti questi metodi lavorativi funzionano così bene per chi esercita mansioni creative, e se vale quanto abbiamo sempre sostenuto in questo blog e cioè che il progettista industriale rientra tra le figure professionali creative, allora tecnicamente questo concetto lavorativo può essere applicato anche per i tecnici di progettazione.

Quello che però non mi convince e che, anzi, mi lascia fortemente perplesso è il fatto che o a tutti i dipendenti di un’azienda viene data la possibilità di lavorare seguendo queste logiche (orari assolutamente flessibili, partite a ping pong per stimolare la creatività o sbloccare eventuali stalli lavorativi, eccetera), oppure tutti quanti devono lavorare nel modo tradizionale. Disparità e differenze di trattamento, secondo me, finirebbero per dare origine a malcontenti del personale e a contrasti tra colleghi.
Quindi: alcuni metodi lavorativi innovativi possono portare risultati (anche perché altrimenti non sarebbero così tante le aziende che li applicano), ma a patto che coinvolgano tutti i dipendenti, nessuno escluso. Gestire il personale è un mestiere tutt’altro che semplice e certe dinamiche non possono essere ignorate perché fanno parte della natura umana. Siete d’accordo?

Ciò premesso, ritengo anche che un ambiente di lavoro (qualunque esso sia) debba essere il più comodo e confortevole possibile perché si tratta del luogo in cui trascorriamo la maggior parte del nostro tempo. Quindi pulizia, ordine, climatizzazione, insonorizzazione, comfort delle sedute, strumenti a disposizione del personale funzionanti, eccetera sono tutti elementi essenziali.

di Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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