Quando l’innovazione deve scendere a compromessi con la realtà?

Oggi vorrei parlare di ricerca e sviluppo e di come l’innovazione spesso e volentieri debba scendere a compromessi con la realtà. Seguite il mio discorso.
Il meglio delle innovazioni nell’ambito dell’automazione industriale (e non solo in quello) è in genere frutto di importanti investimenti economici in ricerca e sviluppo. E, fin qui, nulla di nuovo. La naturale conseguenza è che

leader di settore siano le aziende che hanno maggiore capacità economica, perché, se è vero che gli investimenti relativi alle tecnologie produttive interne sono in genere commisurati alla dimensione dell’impresa stessa (o quantomeno della sua capacità produttiva), è anche vero che lo stesso non si può dire di quelli in R&D (non sempre perlomeno).

Quando diventa infatti necessario dare una forte spinta in azienda in tema di innovazione, due sono le possibilità che ci si prospettano davanti. O si riesce ad avere quella idea geniale in grado di dare vita a una soluzione a cui nessuno aveva mai pensato prima; oppure diventano necessari tanti studi e ricerche, che alla fine si traducono in una infinità di ore di lavoro di professionisti. E quindi, in altre parole ancora, si traducono in denaro da investire in R&D, senza peraltro avere la certezza assoluta che effettivamente si riesca a raggiungere un risultato soddisfacente.

Se così quindi stanno le cose, difficilmente sono le piccole imprese a potersi permettere questa strada. Con la diretta conseguenza che, il più delle volte, leader di settore diventino imprese di grandi dimensioni. Pensate per esempio ai grandi gruppi tedeschi, americani o giapponesi. Sono loro alla fine che si contendono il grosso del mercato.

Ciò nonostante, guardandomi intorno durante le ultime edizioni di SPS e MECSPE, ho notato che

molte aziende italiane, anche se medio piccole e con presenza fieristica più modesta, non hanno mai sfigurato in fatto di tecnologia e novità presentate.

Il fatto è però che – comunque la si giri – le PMI finiscono sempre per restare un po’ vincolate alla loro genialità. Intendo dire che può essere anche vero che il reparto R&D di una di una piccola azienda possa essere in grado di tirar fuori un particolare, un’idea o un brevetto a cui il grande gruppo con un ufficio ricerca e sviluppo più grande e strutturato non è riuscito ad arrivare. Così com’è vero che, grazie a quella stessa innovazione, la piccola azienda potrà vivere di rendita per diversi degli anni successivi. Ma poi?

Poi o sarà in grado di avere un’altra idea geniale che le permetta di rifare lo stesso percorso virtuoso, o sarà punto e a capo. Riportando al centro di tutto l’importanza di avere una grande capacità economica per investire in ricerca e sviluppo.

Considerando quindi che è molto più facile che siano le grandi realtà quelle che riescono ad accedere e a beneficiare di fondi statali di investimento (diventando di conseguenza anche le favorite nel fare innovazione), la soluzione che permetterebbe a noi italiani di non restare tagliati fuori potrebbe essere, ancora una volta, quella della rete di imprese, intesa come necessità di sopravvivenza (https://www.microingranaggi.it/quale-sara-il-futuro-delle-micro-imprese-italiane/). Oppure potrebbe essere qualcosa a cui nessuno (né noi, né i nostri politici) ha ancora pensato.

Voi avete qualche proposta?

Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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