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Dal settore Punti di vista

Quale sarà il futuro delle micro-imprese italiane?

Qualche giorno fa sono passato per caso nella zona industriale di Rozzano (provincia di Milano) e ho constatato, ancora una volta, che si tratta di un’area piena di micro capannoni di poche centinaia di metri quadrati ciascuno. Quella di Rozzano non è una particolarità, ma la rappresentazione di quelle che sono le zone industriali tipiche dell’Italia, a riprova del fatto che il tessuto industriale del nostro paese è costituito da decine di migliaia di micro-imprese.

Lo scrivo perché – se penso all’Italia come sistema economico parte di un mondo globale, che sta seguendo una strada ben precisa verso l’innovazione tecnologica e la trasformazione digitale – questo nostro tessuto imprenditoriale mi preoccupa un po’. Noi italiani siamo creativi, brillanti, conosciamo bene l’arte dell’arrangiarsi e via dicendo. Tutti fattori molto importanti, ma non bastano.

Seguite il mio ragionamento.
A cosa serve l’industria 4.0? Perché un’azienda dovrebbe evolvere e allinearsi a quelli che sono oggi i principi e gli standard del 4.0? Sicuramente per essere un’impresa moderna, in linea con l’epoca storico-economica attuale. Ma non solo.

Evolvere in chiave 4.0 serve anche (e, direi, soprattutto) a comunicare, collaborare e interagire – secondo gli standard attuali e futuri – con clienti, fornitori, colleghi, partner e via dicendo.

Questo significa che saranno facilitate collaborazioni fra aziende di questo tipo. Un’impresa italiana in linea con gli standard di Industry 4.0, per esempio, avrà molte meno difficoltà a trovare sinergie con un’impresa tedesca che sarà 4.0 a sua volta, che non con lo storico fornitore italiano rimasto a lavorare con metodo tradizionale.
Quindi

quando automatizzazione, digitalizzazione e interconnessione diventeranno un’abitudine, trasformando il modus operandi di una impresa, sarà sempre più difficile per quella stessa azienda tornare indietro. Con questo non voglio dire che un’impresa 4.0 non potrà più lavorare con realtà tradizionali, ma sicuramente che lo farà sempre di più con maggior fatica.

Perciò fino a quando l’impresa tradizionale resterà l’unica possibilità per l’impresa 4.0, nulla cambierà. Ma quando cominceranno a presentarsi valide alternative, allora è molto probabile – secondo me – che chi non ha abbracciato la quarta rivoluzione industriale rischi seriamente di rimanere tagliato fuori.
Nessuno, certo, può sapere esattamente cosa accadrà in futuro, ma il rischio che la situazione delle imprese del nostro paese evolva in questa direzione è molto alto, soprattutto se pensiamo che solo le società in attivo possono beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dal Piano Impresa 4.0.

La situazione per il sistema economico italiano, quindi, potrebbe diventare davvero molto preoccupante, ma con questo non voglio certamente dire che non ci siano soluzioni, anzi!
Una possibilità è quella che le piccole aziende non evolute scompaiano definitivamente, magari perché acquisite da quelle più grandi, che cresceranno sempre di più.

Un’altra possibilità – che auspico maggiormente – è invece che le nostre micro-imprese continuino a esistere, ma sotto forma di reti d’impresa.

Mi rendo conto che il Decreto sulle Reti di Imprese previsto dalla Manovra di stabilità del 2010 si era rivelato un fallimento per molti settori industriali. È anche vero però che se questa dovesse davvero finire per essere l’unica alternativa per non scomparire dal mercato mondiale, allora forse potrebbe dare l’input per un maggior impegno da parte di tutti.

E quindi da un lato le singole aziende dovranno modificare il proprio atteggiamento di fondo che molto spesso porta ad anteporre gli interessi personali e della propria attività a quelli comuni.
E, dall’altro, il nostro Governo dovrà pensare a qualcosa di diverso da ciò che è stato fatto fino a oggi, facendosi carico di andare a colmare la lacuna lasciata dal Piano industria/impresa 4.0 di questi ultimissimi anni, proprio per evitare il collasso di migliaia di micro-imprese che, come scrivevo poco sopra, per loro stessa struttura economica non possono accedere alle agevolazioni governative.

Siete d’accordo?

di Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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