Un aiuto fiscale alle aziende fa sempre bene

Ma se parliamo di trasformazione digitale – con tutto ciò che il termine implica – serve la consapevolezza che non la si fa solo comprando macchine nuove, ma anche facendole dialogare tra loro, capendo cosa succede davvero in produzione e usando quei dati per lavorare meglio ogni giorno. E per fare tutto questo occorrono tempi tecnici fisiologici e non comprimibili.

C’è una premessa da cui credo sia doveroso partire: secondo me – ma non solo secondo me – un aiuto fiscale alle aziende fa sempre bene. E mi sento di dirlo proprio ora che, come ciclicamente accade, si torna a parlare di incentivi per le imprese.
In queste settimane, infatti, il Governo sta lavorando alla nuova legge di bilancio che prevede anche l’introduzione di un nuovo Iperammortamento, una misura analoga a quella che aveva rappresentato il cuore dei primi piani Industria 4.0 e Impresa 4.0. Una sorta di ritorno alle origini, che dovrebbe diventare operativo dal 2026, con la chiusura della stagione di Transizione 4.0 e 5.0. Ma, per ora, tutto è ancora in fase di definizione.

Nel cercare di capire cosa sarebbe davvero auspicabile da questa nuova manovra, ho fatto alcune riflessioni che vorrei condividere con voi.

Come detto,

un aiuto fiscale alle aziende fa sempre bene.

Soprattutto perché – sorvolando sul flop del 5.0 – dal Piano 4.0 ormai è passato parecchio tempo e parecchie di quelle imprese che allora avevano investito – MICROingranaggi inclusa – oggi sarebbero pronte a tornare a farlo. Anche perché molti dei beni acquistati in quel periodo sono ormai quasi completamente ammortizzati.

Detto questo, ci sono due aspetti che, secondo me, vale la pena tenere presente.

Il PRIMO riguarda

il rischio che gli incentivi vengano, ancora una volta, utilizzati solo per “fare acquisti”, invece che come un’occasione per ripensare davvero i processi in ottica di evoluzione digitale e costruire una trasformazione strutturale e duratura.

La parte forse più strategica del Piano 4.0 iniziato nel 2018 – quella legata alla connessione, alla raccolta e all’analisi dei dati – in molti casi è infatti rimasta sullo sfondo o è stata rimandata a un momento successivo. Che, spesso, poi non è arrivato.
Le norme prevedevano controlli per verificare che gli investimenti rispettassero i requisiti richiesti, ma nella pratica quei controlli non sono quasi mai stati effettuati. E questo ha portato molte aziende a muoversi con poca convinzione sul fronte di una reale trasformazione digitale.

Poi c’è un SECONDO aspetto, che solo chi – come noi – ha davvero intrapreso un percorso di evoluzione in chiave 4.0 può aver percepito fino in fondo.
Non si tratta di un processo semplice o immediato, come a volte si tende a raccontare con un po’ di leggerezza. Non basta infatti acquistare una macchina predisposta, collegarla in rete e iniziare a raccogliere dati per ottenere, da un giorno all’altro, informazioni utili con cui intervenire sulla produzione per migliorarla. Noi, per esempio, pur avendo iniziato a investire già nel 2018, solo adesso stiamo cominciando a tirare le prime fila di quegli investimenti. E questo perché ci sono tempi tecnici, fisiologici, che non possono essere compressi.

E poi,

evolvere in chiave 4.0 non significa solamente investire in quei beni strumentali previsti dal piano governativo.
Significa investire – e investire tanto – anche al di fuori di quanto coperto dagli incentivi, con la consapevolezza che il vero ritorno non sarà immediato.

Nel nostro caso, fino a oggi, il 4.0 è stato quasi più un costo che un beneficio. Le agevolazioni fiscali per l’acquisto dei macchinari sono state fondamentali, poiché ci hanno permesso di fare investimenti che altrimenti sarebbero stati difficili da sostenere. Ma quella è solo una parte della storia.
Perché, dopo l’acquisto della macchina, restano tutte le altre spese – infrastrutture, rete, software, risorse umane, formazione – che non sempre rientrano in quanto previsto dagli incentivi, pur essendo indispensabili per far funzionare davvero un sistema 4.0. Spese che finiscono per assorbire buona parte di quel vantaggio fiscale iniziale.
E questa fondamentalmente è la ragione per cui, a oggi, non possiamo ancora dire di aver raccolto benefici tangibili sul piano economico.

Investimento sbagliato? Assolutamente no.
Ma serve la consapevolezza che il vero ritorno arriverà nel tempo. Arriverà quando l’infrastruttura sarà completamente integrata e i dati cominceranno a generare valore reale, traducendosi in efficienza e capacità di decisione.

Morale: un aiuto fiscale alle aziende fa sempre bene. Questo sì, indubbiamente. Speriamo arrivi con tempi rapidi e poca burocrazia “disicentivante”, perché le imprese italiane ne hanno davvero bisogno.

Per tutto il resto servono visione e costanza. Perché la trasformazione non sta solo nei bandi o nei bonus, ma – soprattutto – in quello che si riesce a fare, ogni giorno, nel concreto della quotidianità operativa.

Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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