Sappiamo bene che il nostro Paese si è sempre retto su un tessuto industriale fatto di micro imprese. Piccole aziende, spesso a conduzione familiare, che con dedizione, passione e spirito imprenditoriale hanno costruito interi settori produttivi, contribuendo in modo significativo alla crescita economica dell’Italia. Altrettanto chiaro è però anche che questo modello si trova, e continuerà a trovarsi, ad affrontare sfide sempre più complesse.
Il contesto economico e normativo di oggi impone infatti requisiti che, sebbene fondamentali per la competitività, rischiano inevitabilmente per diventare ostacoli difficili da superare per le imprese di dimensioni ridotte.
Pensiamo all’internazionalizzazione, per esempio. I mercati globali offrono opportunità, ma per coglierle servono competenze, risorse e strutture adeguate, elementi che spesso mancano alle realtà più piccole.
Poi c’è il tema delle certificazioni di qualità, ormai diventate imprescindibili per restare competitivi. Non si tratta solo di una questione di conformità normativa, ma di un vero e proprio biglietto da visita per poter accedere a determinati mercati e collaborare con partner più strutturati. Sappiamo però anche bene che ottenerle comporta costi, tempi lunghi e una burocrazia complessa, che per molte micro imprese rischiano di trasformarsi in un freno difficile da superare.
Altri due grandi temi degli ultimi anni sono innovazione e sostenibilità. Da un lato, la digitalizzazione e le nuove tecnologie potrebbero rappresentare un’opportunità concreta per migliorare efficienza e produttività, ma implementarle richiede investimenti importanti, competenze specifiche e un cambio di mentalità che non sempre le micro imprese riescono a gestire con le risorse a disposizione. Dall’altro, sebbene la sostenibilità sia ormai un requisito imprescindibile, i bilanci di sostenibilità – sempre più richiesti e spesso decisivi per accedere al credito o avviare collaborazioni strategiche – comportano investimenti significativi. Redigerli richiede non solo risorse economiche, ma anche tempo e competenze specifiche, elementi che non tutte le micro imprese possono permettersi di sostenere con facilità.
A tutto questo si aggiungono due questioni fondamentali: l’accesso ai finanziamenti, sempre più complicato a causa dei criteri stringenti imposti dalle banche, e una burocrazia in continua crescita, che sottrae tempo e risorse preziose alle imprese.
E ancora: la gestione del capitale umano, e quindi alla difficoltà sia ad attrarre giovani talenti sia a reperire personale tecnico specializzato, e la mancanza di competenze manageriali, che in molte realtà costringe il titolare a gestire tutto da solo, senza il supporto di figure specializzate, con il rischio di rallentare la crescita e compromettere la competitività dell’azienda.
E, infine (ma non meno importante), il passaggio generazionale, di cui più e più volte abbiamo parlato sul MICROjournal: senza una gestione attenta, il cambio al vertice può mettere a rischio la continuità aziendale.
Mi rattrista pensare che quella che è sempre stata la forza del nostro Paese – la presenza massiccia di piccole realtà radicate nel territorio – oggi sia a rischio. Ma non possiamo ignorare che le cose cambiano, perché tutto è in continua evoluzione. E proprio per questo, non è più possibile continuare a fare le stesse cose nello stesso modo.
La capacità di adattamento e l’innovazione sono e saranno sempre più determinanti. E, purtroppo, non è detto che siano sufficienti.
Superare tutte queste sfide è fondamentale per crescere, ma per molte micro imprese rischiano comunque di essere ostacoli impossibili da superare.
Secondo voi quale futuro hanno le micro imprese?
Pensate che la mia sia una visione realistica o troppo pessimistica?