Un collega, non molto tempo fa, ci ha raccontato di aver acquistato una macchina utensile dagli Stati Uniti. Doveva arrivare di giovedì, ma la consegna è slittata prima a venerdì e poi a lunedì. Così, dopo due rinvii e un coordinamento ormai impossibile con gli operatori incaricati dell’installazione, si è trovato costretto a far scaricare la macchina nel cortile, dentro un’enorme cassa di legno: nove tonnellate di ingombro piazzate davanti ai cancelli per giorni.
Per evitare guai, ha persino dovuto ingaggiare due guardie giurate per sorvegliarla di notte, in attesa di poterla finalmente installare in officina.
Tra date di consegna che cambiano all’ultimo, imballi fuori misura e ritardi nell’installazione, questo è un classico esempio di come spesso l’anello debole non sia la tecnologia in sé, ma tutto ciò che dovrebbe farla funzionare.
Perché questo esempio? Perché, in qualche modo, è una storia che ci tocca – o potrebbe toccarci – da vicino.
Come ben sappiamo, viviamo in un mondo globale. Un mondo in cui possiamo acquistare prodotti e componenti a migliaia di chilometri di distanza e riceverli in tempi che, fino a pochi anni fa, sembravano fantascienza.
Questo è innegabile, quasi scontato. E credo siamo tutti d’accordo.
Ma di una cosa sono convinto:
gli italiani – e forse, più in generale, anche gli europei – continueranno ancora per molto a preferire aziende locali per i propri acquisti. Soprattutto quando si tratta di tecnologia complessa o di componenti destinati a soluzioni ad alto livello di integrazione.
Magari non io personalmente e forse neppure alcuni di voi. Ma per tanti altri sarà così.
Vuoi per la lingua, per la cultura, o per una sorta di (in)conscio e istintivo senso di appartenenza, molte aziende del settore saranno disposte, se necessario, anche a spendere qualcosa in più pur di avere la certezza della qualità, dell’affidabilità e di un rapporto diretto con un fornitore che “parli la stessa lingua”, in senso lato.
Perché comprare in Cina – come, del resto, in molti altri paesi dell’Estremo Oriente – continuerà, ancora per un po’, a essere una complicazione. Una di quelle che, se possibile, evitiamo volentieri.
Affinché questo accada, però, devono esserci almeno due condizioni imprescindibili.
La prima: il prodotto, la soluzione o la tecnologia acquistata devono essere di qualità impeccabile.
La seconda: il servizio deve funzionare.
Non basta dirlo. Non è più sufficiente prometterlo o scriverlo nelle brochure.
Qualità e servizio devono esserci. Davvero.
Il fatto è che, purtroppo, qualità e servizio non sono sempre così scontati, come dimostra l’esempio che ho fatto all’inizio dell’articolo.
Per come la vedo io, se il servizio viene a mancare, il passaggio a un fornitore asiatico può diventare molto più rapido di quanto immaginiamo. E lo stesso vale per la qualità.
Siamo ancora abituati a immaginare la fabbrica asiatica come un enorme capannone con centomila persone in fila a montare pezzi.
Ma la realtà, oggi, è molto diversa: in molte di quelle fabbriche ci sono robot che lavorano in perfetta sincronia, e la qualità dei prodotti, giorno dopo giorno, sta raggiungendo – e in alcuni casi già eguagliando – la nostra.