Gli stranieri ci tolgono posti di lavoro?

Buongiorno e buon 2017 a tutti!
Voglio iniziare questo nuovo anno con una domanda provocatoria:

ma gli stranieri ci tolgono davvero posti di lavoro?

Perché lo chiedo? Facciamo un passo indietro.

All’inizio di ogni anno si tirano sempre le somme, si fanno analisi di quello che è stato, di cosa si potrebbe cambiare e possibilmente migliorare e così via. Guardando al 2016 non possiamo fare a meno di pensare ad alcuni stravolgimenti economici e politici, strettamente correlati gli uni agli altri, che ci stanno facendo riflettere parecchio soprattutto in vista di quelle che potrebbero essere le conseguenze concrete che, più o meno da vicino, toccheranno un po’ tutti noi.
Mi riferisco per esempio alla Brexit del Regno Unito o all’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti. Due scelte oggi definite “populiste” e che diversi studi attribuiscono in buona parte a timori di natura economica (ancor prima che sociale), con il problema della disoccupazione ai primi posti.

Vien da sé che nei periodi di crisi la paura aumenta. Timore di perdere il lavoro e rischiare di non trovarlo più. Ne consegue una necessità più o meno fisiologica di trovare un capro espiatorio contro cui combattere. Capro espiatorio che assume da un lato le sembianze delle macchine intelligenti che secondo alcuni provocheranno una disoccupazione di massa, e dall’altro quello dello straniero che arriva nel nostro paese per toglierci posti di lavoro. È proprio su questo secondo punto che vorrei soffermarmi in questo post, perché vedo che in Italia, come d’altra parte in parecchi altri paesi, questo timore è piuttosto radicato.

Il nostro è uno dei paesi con il maggior numero di emigrati in quasi ogni parte del mondo: Belgio, Regno Unito, Stati Uniti, Australia… Ecco perché mi dà particolarmente fastidio che sia proprio l’italiano a preoccuparsi di chi viene a cercare lavoro nel nostro paese. Chi viene in Italia ci resta se il lavoro ce l’ha oppure se lo trova, altrimenti cerca di andare via, o non ci viene proprio. Perciò, se queste persone un lavoro ce l’hanno, vuol dire che quel posto è stato disponibile.

Se poi vogliamo entrare nel merito del perché il lavoro è disponibile mentre ci sono italiani disoccupati (solo ieri l’Istat ha pubblicato il dato sconfortante della disoccupazione giovanile a novembre 2016: 39,4%), allora questo è un altro discorso. In un post dell’anno scorso scrivevo:
il problema della disoccupazione a fronte di un numero consistente di imprese che cercano personale è, secondo me, la mancanza di sincronizzazione tra domanda e offerta. […] Non voglio dire che seguire le proprie aspirazioni sia sbagliato, anzi! […] Ma sono molte le persone che preferiscono restare a casa a fare nulla piuttosto che andare a fare l’operaio. Ed è proprio qui che, secondo me, si cade in errore…”.

Un discorso che mi sento di ribadire, ma che non c’entra nulla con “lo straniero che ci toglie posti di lavoro”.
È un dato di fatto che ci siano lavori che gli italiani non vogliono fare e questo vale per moltissimi settori. Nell’agricoltura: l’italiano è sul trattore, mentre lo straniero lavora la terra. Nell’industria: ci sono aziende che impiegano anche il 60% di operai extracomunitari, perché non trovano personale italiano disponibile. E la situazione è più o meno analoga nell’edilizia. Il mercato del lavoro del nostro paese continua ad avere un netta separazione tra “professioni italiane” e “professioni straniere”.
Circa a metà dello scorso anno il presidente dell’INPS Tito Boeri ha segnalato che in termini di contributi sociali gli immigrati versano di più di quanto ricevono in pensioni.

Se invece vogliamo parlare del fatto che ci siano leggi che tutelano maggiormente i diritti di persone che forse dovrebbero averne meno se non altro perché le tasse in Italia non le hanno mai pagate, allora è un altro discorso e posso d’accordo. Ci sono un sacco di cose che non vanno bene, ma questo è un altro discorso…

Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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