Qualche tempo fa in un post dedicato al metodo TRIZ scrivevo che anche per fare un mestiere come quello del progettista meccanico ci vuole creatività, una dote che alcuni di noi hanno più marcata di altri, ma che in ogni caso non deve necessariamente essere innata. Può, al contrario, essere imparata e stimolata grazie a tecniche e strumenti messi a punto proprio a questo scopo.
Chi per mestiere (ma non solo) è solito innovare o comunque concepire nuove idee è colui che generalmente ha appreso nel tempo e fatto proprie una o più tecniche di questo tipo. Affinare e continuare ad applicare questi metodi fa sì che il loro utilizzo diventi del tutto naturale, quasi inconscio.
Il bello è che non esiste macchina o tecnologia in grado di fare questo come l’uomo. A patto però che si sottoponga a un buon allenamento.
Tra le varie metodologie che nel corso della storia sono state analizzate e poi spiegate per essere messe a disposizione di tutti, mi sembra particolarmente interessante quella che consiste nel creare associazioni.
In parole povere: molte soluzioni a potenziali problemi altro non sono che la ricombinazione di ipotesi già esistenti, ovvero l’adattamento a un contesto specifico di quella che magari è stata la soluzione a un noto problema in un settore completamente diverso.
Si tratta di una tecnica apparentemente semplice, ma che in realtà non va assolutamente data per scontata. Soprattutto se si parla di progettazione meccanica. Capita spesso, infatti, che chi si trova a operare per lungo tempo in un campo specifico abbia grandi difficoltà nel discostarsene, perché farlo significherebbe stravolgere completamente il punto di vista mantenuto fino a quel momento. E invece è proprio da un approccio di questo genere che scaturiscono più facilmente soluzioni innovative.
Ormai, quasi inconsciamente, anche nel nostro ufficio ricerca e sviluppo utilizziamo questa tecnica. Il fatto di poter fare esperienza in ambiti profondamente diversi fra loro ci permette di notare analogie (spesso anche poco scontate) tra i vari progetti, da cui riusciamo a evidenziare necessità progettuali simili nonostante si tratti di applicazioni completamente differenti. In altre parole non è detto che una soluzione tecnica ideata per un caso applicativo in ambito medicale non possa poi rivelarsi utile anche per un’applicazione nel settore automotive.