Come, quanto e quando possiamo fidarci di quello che fa l’AI?

La forza dell’intelligenza artificiale sta nella capacità di colmare alcuni gap che in modo naturale e inevitabile l’essere umano ha. Prima diventiamo consapevoli dei suoi punti di forza e impariamo a usarli a nostro vantaggio, meglio è. Si tratta di uno strumento a servizio della nostra competenza (che non deve mancare, ndr.)

Partiamo da un fatto che ormai considero assodato: non è vero che “se le lasciamo fare, le macchine ci sostituiranno”. Anzi, è proprio il contrario. Tecnologie come l’intelligenza artificiale generativa, nell’operatività di tutti i giorni, sono strumenti preziosi che non rimpiazzano le persone, ma le aiutano a lavorare in modo diverso. A volte migliorano ciò che facciamo, altre volte rendono semplicemente il nostro lavoro più efficiente.

E la loro forza – secondo me – sta proprio nella capacità di colmare alcuni gap che in modo naturale e inevitabile l’essere umano ha.

Prendiamo un esempio alla portata della vita lavorativa di tutti, le email.
L’AI non si limita a correggere eventuali errori grammaticali o a scegliere il tempo verbale corretto. È in grado di analizzare il periodo, di riorganizzare i concetti in modo logico e coerente, evitando di disperdersi in passaggi confusi. Non sostituisce quindi il pensiero umano, ma lo ordina, lo schematizza e lo rende più leggibile. Al punto che anche chi si considera già chiaro nell’esposizione, spesso scopre che i propri messaggi risultano troppo sintetici o poco strutturati.

Ecco, in casi come questi l’AI diventa un grande supporto. Sei sempre tu a scrivere la mail, e probabilmente impieghi anche lo stesso tempo, perché solo tu sai con precisione cosa chiedere a un fornitore e quali informazioni servono per ottenere la risposta che ti è utile. La differenza è che, nella maggior parte dei casi (non sempre, certo. Generalizzare non si può), la mail finale risulterà più efficace. Semplificherà il lavoro del tuo interlocutore che, con buona probabilità, avrà già tutti gli input necessari per fornirti esattamente la risposta di cui hai bisogno (cosa che, vi assicuro, non è affatto scontata).

Premesso questo, c’è poi un’altra

grande domanda che spesso ci si pone: quanto e quando possiamo fidarci di quello che fa l’AI?

Ecco, secondo me

la risposta migliore è un’altra domanda: quanto e quando possiamo fidarci di quello che fa la nostra mente?

Il nostro cervello è fatto di sinapsi, che creano connessioni e modelli. Ma non sempre ciò che ricordiamo o percepiamo è corretto. La macchina, invece, funziona diversamente: non dimentica. Non è soggetta a distrazioni, stanchezza o bias cognitivi. Se quel giorno sei distratto e dimentichi un dato, all’AI questo non accade. La sua memoria è imbattibile: ti dirà esattamente, per esempio, cosa hai acquistato, a quale prezzo e in quale data.

È come paragonare la corsa di un uomo a quella di un motorino: puoi correre veloce quanto vuoi, ma il motorino andrà sempre più veloce di te. Allo stesso modo, l’AI – come macchina – ha capacità (come memoria, elaborazione, organizzazione) che superano le nostre.
Detto ciò, anche se ci sono questi evidenti vantaggi, questo

non significa che dobbiamo fidarci ciecamente, ma che dobbiamo essere consapevoli dei suoi punti di forza e imparare a usarli consapevolmente a nostro vantaggio.

L’AI non dovrebbe sostituire l’umano, ma potenziarlo.

Pietro Asti

È Operation manager di MICROingranaggi con il compito di affiancare la direzione nella scelta e nella creazione di strumenti sempre più utili per i diversi ambiti operativi e gestionali.
Secondo Pietro un problema da risolvere non deve necessariamente essere evidente; può anche essere latente o non immediatamente visibile. Poi, una volta individuato cosa non va, occorre estrarre i dati e analizzarli per gettare le basi di un percorso volto al miglioramento.

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