Se c’è una cosa che ormai è chiara e inequivocabile è che viviamo in una società in cui tutto può cambiare radicalmente da un giorno all’altro, buttando all’aria tanti dei progetti fatti e costringendoci a rimettere in discussione tutto (o quasi tutto) continuamente. Si tratta di un dato di fatto che ogni impresa, secondo me, dovrebbe sempre tenere presente.
È con questo primo pensiero che auguro a tutti voi buon anno e buona ripresa!
Per quel che ci riguarda, possiamo dire che il 2025 sembra promettere bene.
A oggi ci aspettiamo una crescita tra il 5% e il 10% rispetto all’anno scorso.
Una situazione, questa, che non vedevamo da tempo e che ci dà una certa serenità e tranquillità riguardo al futuro (almeno nel breve termine), consentendoci di focalizzare energie e attenzione su nuovi progetti, strategie e investimenti.
Progetti, strategie e investimenti che, quest’anno, si concentreranno prevalentemente nell’ambito dell’automazione, declinata in due direzioni principali: da un lato quella tecnologica, con l’espansione graduale delle soluzioni esistenti, e, dall’altro, quella digitale, che includerà anche l’intelligenza artificiale.
Nell’attesa di raccontarvi qualcosa di più sui nostri progetti, siamo tornati a parlare con Stefano Valvason, Direttore Generale di A.P.I., focalizzandoci, questa volta, sul futuro delle PMI italiane, con qualche consiglio pratico.
Ingegner Valvason, quando ci siamo parlati alla fine dello scorso anno, ci aveva anticipato che le tre direzioni verso cui le imprese dovrebbero investire sono sostenibilità, intelligenza artificiale e transizione digitale. Ci può dire qualcosa di più a riguardo?
“Esatto, confermo che i temi imprescindibili per il 2025 saranno proprio questi. Nell’anno che è appena iniziato ci concentreremo sul tema dell’intelligenza artificiale, affrontandolo in modo multidisciplinare, aspetto fondamentale per avere una visione chiara e costruttiva per le PMI. Il concetto centrale sarà quello della twin transition, ovvero del connubio tra sostenibilità ed evoluzione digitale, che non potrà più prescindere dall’AI.
Va da sé che questi cambiamenti richiederanno necessariamente investimenti anche nell’ambito della formazione dei collaboratori ma anche degli imprenditori. Non sarà possibile, infatti, ragionare in termini semplicistici come “Compro una macchina, la inserisco in azienda e ottengo il miglioramento”. Si tratta di un approccio che non funziona, specialmente su temi così complessi.
L’adozione di nuove tecnologie e processi comporta un cambio significativo nell’approccio al lavoro. È fondamentale lavorare sulla cultura e sulla mentalità delle persone, aiutandole a sviluppare un nuovo modo di pensare e di utilizzare questi strumenti. E tutto questo può avvenire solo attraverso un percorso di formazione mirata”.
Quali consigli potete dare a chi decide di investire nell’intelligenza artificiale?
“È importante affrontare l’AI con prudenza, evitando un approccio fideistico o dettato solo dalle mode. Si tratta di una tecnologia che può offrire vantaggi significativi, come l’ottimizzazione dei processi ripetitivi e una gestione più strategica dei dati aziendali per prendere decisioni informate. Alcune imprese la stanno già utilizzando per prevedere gli ordini dei clienti e ottimizzare le scorte di magazzino, riducendo così parte dei costi e migliorando l’efficienza complessiva. Non va dimenticato, però, che queste tecnologie devono essere adottate e integrate gradualmente, con buon senso e pensiero critico, onde evitare di affidarsi esclusivamente a soluzioni proposte da fornitori non sempre trasparenti, che possono avere interessi divergenti”.
Più volte sul MICROjournal abbiamo parlato di Transizione 5.0. Oltre alla sua complessità strutturale, che ne rende difficile l’applicazione, uno dei principali problemi riguarda la comunicazione e la gestione del progetto. Secondo noi l’ideazione, la presentazione e la proposta alle aziende non sono state sufficientemente efficaci.
Lei cosa ne pensa?
“Il Piano Transizione 5.0, a oggi, rappresenta uno strumento ancora molto poco strutturato. Mancano procedure chiare e regolamenti definiti: i decreti attuativi sono ancora in fase di interpretazione e questo sta creando notevoli difficoltà.
Ci sono, per esempio, alcuni consulenti che fanno proposte poco trasparenti, non avendo essi stessi una chiara visione di come implementare le soluzioni promesse. Vendono, in altre parole, delle idee, senza sapere come metterle in pratica.
Questo naturalmente genera confusione e frustrazione tra gli imprenditori, molti dei quali ci contattano per chiedere chiarimenti o supporto.
La mancanza di trasparenza e di interpretazioni univoche delle regole e dei decreti attuativi sta rendendo quindi lo strumento inefficace, con la conseguenza che i fondi destinati al Piano sono sostanzialmente inutilizzati. Questo è il sentiment prevalente tra le imprese, che richiedono quindi con urgenza chiarimenti per poter sfruttare al meglio le opportunità offerte.
Nonostante le criticità di questo Piano, pensiamo comunque che il momento storico sia quello giusto per stimolare le imprese a uscire dalla cosiddetta “sindrome italiana della medietà”. È fondamentale che gli imprenditori sviluppino una visione chiara per il futuro delle loro aziende e inizino a investire senza restare fermi a osservare. E un incentivo come quello legato alla Transizione 5.0 rappresenta uno stimolo concreto”.
Perché, secondo lei, le imprese italiane non investono?
“Uno dei problemi principali è che abbiamo una classe imprenditoriale e una forza lavoro con un’età mediamente avanzata, e questo rappresenta un ostacolo. Spesso l’esperienza accumulata in decenni di lavoro porta a una naturale e fisiologica resistenza al cambiamento, con atteggiamenti del tipo: “Ne ho viste passare tante, passerà anche questa”. È un approccio sbagliato che tende a rimandare le decisioni, confidando che il tempo risolva le situazioni.
Dobbiamo lavorare per smontare questa mentalità. Non si tratta di escludere i lavoratori senior, ma di promuovere la sperimentazione e di aprire spazi ai giovani, che portano una mentalità più aperta e sono meno resistenti ai cambiamenti.
Secondo lei cosa succederà nel 2025?
“Le prospettive economiche per l’anno appena iniziato indicano una crescita contenuta, ma positiva per l’Italia, con un incremento del PIL previsto dello 0,8%. Questa crescita sarà trainata principalmente dalla domanda interna, sostenuta da un graduale miglioramento delle condizioni economiche, un rafforzamento del mercato del lavoro e un parziale recupero delle retribuzioni reali.
Le incertezze geopolitiche e le pressioni protezionistiche, come i dazi americani, rappresentano un rischio per l’economia italiana, che esporta e importa molto dagli Stati Uniti. Ma, nonostante questo, si prevede una stabilizzazione della domanda mondiale e un leggero rafforzamento del commercio internazionale. Il raggiungimento della pace, in particolare in Ucraina, sarebbe cruciale per la stabilità dell’economia europea, che dipenderà anche dalle capacità di Germania e Francia di affrontare i rispettivi problemi economici”.