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Quando accettare un cliente indiscriminatamente può essere rischioso?

Non molto tempo fa abbiamo avuto a che fare con un cliente che si è rivelato molto molto impegnativo già a partire dalla fase di campionatura: infiniti scambi di email e continue richieste di offerta senza che ci fossero (da parte sua) idee chiare. Richieste che finivano inevitabilmente per tramutarsi in ore di lavoro per noi.
Poi, come spesso accade, una volta accettato il preventivo i tempi di consegna sono diventati urgentissimi.

Sono voluto partire da questo esempio per dire che

ci sono clienti che si rivelano particolarmente impegnativi sul piano dell’assistenza.

Mi spiego meglio. Proprio per la natura dell’attività che svolgono, realtà come MICROingranaggi si trovano quotidianamente ad avere a che fare con clienti che, perlomeno inizialmente, hanno bisogno di un certo tipo di supporto consulenziale, che inizia con analisi e studio di fattibilità e culmina nella realizzazione di un preventivo dettagliato (che spesso richiede il coinvolgimento di figure terze). E fin qui nulla di strano, perché è normale e fisiologico che sia così. In genere poi tutte le ore di lavoro investite inizialmente vengono recuperate (e quindi bilanciate) nella successiva fase di produzione.
Il problema è che non sempre è così. E, in questi ultimi tempi soprattutto, ci siamo resi conto che situazioni come quella che ho citato all’inizio del post sono cresciute esponenzialmente.

La gestione dei clienti è diventata più complicata, in alcuni casi quasi esasperata.

Al punto che

accettare un cliente indiscriminatamente può essere rischioso.

Nonostante sia molto molto difficile per la maggior parte di noi rinunciare a una possibilità di guadagno, a volte credo sia fondamentale sforzarsi di dire no. Soprattutto perché ci sono casi in cui di reale guadagno non si tratta.

Commentando un mio vecchio post, qualcuno di voi ha citato – per esempio – il cliente disorganizzato, che “dalla sua posizione ‘dominante o tale’ contagia l’organizzazione dell’azienda ben organizzata”. Ecco, il cliente disorganizzato rientra nella categoria di quelli rischiosi da accettare.
Così come i clienti che chiedono (e a volte addirittura esigono) consegne in tempi così stretti da non essere ragionevoli. O come quelli che non sono disposti a pagare la qualità di un prodotto o di un servizio.

A queste caratteristiche si aggiunge quella della fiducia: se con un cliente è difficile instaurare un rapporto di fiducia, allora è probabile che diventi anche difficile riuscire poi a lavorare serenamente.

Sono convinto che il fatturato che un cliente ci permette di fare non sia l’unico indicatore da tenere presente. Importante è anche valutare per esempio chi è il nostro interlocutore e, soprattutto, se è una persona collaborativa e competente.

Incrociando valori come la quantità di impegno richiesto, il potenziale di crescita e la marginalità che un determinato cliente permette di raggiungere, è possibile per esempio stilare una sorta di classificazione dei clienti di un’impresa, che consenta di avere ben chiara la situazione complessiva, così da capire in quale direzione incanalare le proprie energie.

Quindi se un cliente mi permette di fatturare tanto, ma al contempo mi richiede un impegno molto alto (per esempio a livello di assistenza), allora forse ha più senso investire e dedicarsi maggiormente a un cliente che consente magari di fatturare un po’ meno, ma con un migliore equilibrio tra impegno e guadagno.

Clienti che creano problematiche di gestione continue, costanti e trasversali ( in ciascuna delle fasi della realizzazione di un prodotto) sono di fatto un peso di cui forse non vale così tanto la pena farsi carico. Sbaglio?

di Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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