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Qual è il giusto approccio alle persone nella gestione della qualità?

Esistono principalmente due strade da seguire, ma solo una innesca un maggiore coinvolgimento delle persone che, sentendosi parte integrante del processo di riorganizzazione del lavoro in ottica di miglioramento, mostrano una maggiore predisposizione alla collaborazione.

Quando si parla di gestione della qualità e di miglioramento continuo sono sempre tante le sfide da affrontare e una di queste, come ho già scritto in passato, è quella legata alle

risorse umane, che spesso provano un forte senso di frustrazione nell’andare a modificare il proprio modus operandi oppure di paura a intraprendere una strada nuova.

Si tratta di dinamiche fisiologiche, che fanno parte di tutti gli essere umani, ma che comunque devono essere gestite al meglio, onde evitare che facciano da barriera al processo di miglioramento in corso.

Quando si lavora con le persone esistono principalmente due strade da seguire (e che naturalmente poi possono essere declinate in tante altre sfaccettature): il primo è il cosiddetto approccio top down e il secondo è quello che viene definito approccio bottom-up.

Partiamo dal primo, l’approccio top down.
Occupando una posizione superiore nell’organigramma aziendale rispetto ad altri, il manager o responsabile di progetto, viene di fatto legittimato dal datore di lavoro a “imporre” ai colleghi il proprio modus operandi che ritiene essere migliore.
Dal mio punto di vista, però, un approccio top down rischia di andare a creare dei conflitti più o meno grandi.

Poi, come dicevo, c’è l’approccio bottom-up che è strutturato in un modo quasi opposto.
Il manager si siede a fianco del collega e, partendo da una fase di verifica della sua quotidianità operativa (facendo, in altre parole, quella che in gergo tecnico viene chiamata analisi AS IS , ovvero una mappa di come vengono svolte tutte le attività), arriva a mostrare – quindi solo in un secondo momento – quali sono i passaggi che potrebbero essere migliorati.
Ebbene,

per la mia esperienza diretta, questo secondo tipo di approccio innesca un maggiore coinvolgimento delle persone che, sentendosi parte integrante del processo di riorganizzazione del lavoro in ottica di miglioramento, mostrano una maggiore predisposizione alla collaborazione.

A questo si aggiunge il fatto che il coinvolgimento dei diretti interessati offre anche al manager una visione più completa del progetto, concorrendo – di fatto – a una sua migliore riuscita.
Con questo non sto dicendo che un approccio di tipo top down sia sbagliato. E neppure che l’uno escluda l’altro.

Ricordo una frase molto saggia che mi disse in passato un mio professore.
Molto spesso, di fronte a un problema, la tendenza è quella di imputarlo immediatamente alla persona direttamente interessata.
In realtà, però, ci sono almeno tre passaggi che dovrebbero essere fatti prima.
Il PRIMA: chiedersi se le informazioni fornite a quella persona fossero davvero chiare ed esaustive
Il SECONDA: domandarsi se quella persona disponesse di tutti gli strumenti (formazione inclusa) per utilizzare al meglio le informazioni ricevute
Il TERZA: domandarsi, solo a questo punto, se la persona incaricata a gestire quel tipo di richiesta fosse davvero la figura giusta.

di Giuseppe Friscia

È il Responsabile del sistema di gestione di MICROingranaggi.
Per molto tempo ha lavorato presso organismi di parte terza nel mondo delle certificazioni. Poi, a un certo punto della sua carriera, ha deciso di cambiare, passando dall'essere auditor all'essere soggetto che sottopone un sistema di gestione aziendale alla valutazione di un terzo.
La sua missione consiste nel rendere quotidiano il concetto di qualità.

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