Durante un convegno organizzato da A.P.I. Associazione Piccole e Medie Industrie la settimana scorsa, è stato toccato un tema che mi ha fatto riflettere, perché riguarda da vicino anche noi. In parte come realtà che subisce questa situazione e in parte come attore che potrebbe – e forse dovrebbe – fare qualcosa di concreto per provare a risolvere il problema.
La questione centrale è il drastico calo demografico che l’Italia sta attraversando, accompagnato da una carenza strutturale di lavoratori, soprattutto di tecnici specializzati di cui l’industria manifatturiera ha estremo bisogno.
E tutto questo accade in un momento già di per sé particolarmente complesso. Da un lato, stiamo assistendo a un’evoluzione rapidissima di una tecnologia – l’intelligenza artificiale – che, personalmente, trovo affascinante ma che spaventa anche un po’ perché, a oggi, non siamo ancora in grado di comprenderne fino in fondo le implicazioni.
Dall’altro lato, si registra un aumento significativo di bambini con diagnosi certificate importanti, come disturbi dello spettro autistico, difficoltà comportamentali, disabilità complesse. Una generazione per certi aspetti fragile, che richiede un accompagnamento educativo costante, competente e multidisciplinare.
Partiamo dagli ultimi due punti: una generazione in parte fragile e l’intelligenza artificiale.
La prima domanda che sorge spontanea è questa:
se alla tecnologia verranno affidati i compiti più ripetitivi, così da lasciare all’uomo attività a più alto valore aggiunto – che richiedono ingegno, creatività, relazione – non rischiamo di escludere proprio le figure che, per scelta o per condizione, sono più fragili?
Come molti, anche io sono convinta che l’intelligenza artificiale possa rappresentare un’opportunità: liberare tempo, alleggerire le attività più meccaniche, valorizzare le competenze umane. Ma è altrettanto vero che, almeno sul piano produttivo, non tutto sarà automatizzabile. Ciò significa che alcune mansioni continueranno a esistere.
Senza contare che, se ben indirizzata e supportata da strumenti adeguati, l’AI potrebbe diventare una leva per avvicinare i più giovani a mestieri e conoscenze tecniche oggi poco attrattive. Come la storia insegna, inoltre, molto probabilmente nasceranno anche nuove professioni.
Detto questo,
è chiaro che i ragazzi devono essere accompagnati, guidati e sostenuti.
Da chi? Certamente da scuole, istituzioni e famiglie.
Ma credo che, in qualche modo, anche le imprese possano – e debbano – avere un ruolo.
Non tanto a partire dalla scuola primaria, perché è troppo presto, ed è giusto che in quella fase siano scuola e istituzioni a farsi carico dell’orientamento. Ma neppure unicamente alla fine del percorso scolastico, attraverso progetti come l’alternanza scuola-lavoro. Fondamentalmente perché arrivare così tardi significa, spesso, non incidere davvero.
Noi siamo convinti che il coinvolgimento dei ragazzi da parte delle imprese dovrebbe iniziare già dalle scuole medie. Poiché è in quella fase che si compiono scelte fondamentali per il proprio percorso formativo. Scelte che spesso vengono fatte senza conoscere davvero le opportunità che esistono.
Come MICROingranaggi da tempo stiamo valutando di coinvolgere le scuole medie del territorio per far vedere loro da vicino che cos’è un’officina meccanica, come funziona, quali competenze richiede.
Chissà che non possa davvero essere la strada giusta…
Voi cosa ne pensate?