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Un aumento di stipendio non è un diritto. Va guadagnato

Ora dirò una cosa che potrebbe sembrare banale. Ma, fidatevi, non lo è affatto. Vi sarà capitato sicuramente nella vostra vita lavorativa di avere avuto a che fare con persone che ritenevano di non avere uno stipendio commisurato alle proprie capacità, alle attività e mansioni affidate o ai risultati raggiunti e che, pertanto, chiedevano un aumento.

Un collega, un amico, un dipendente. Magari voi stessi vi siete trovati in questi panni.
Benissimo, un diritto più che lecito. Ci mancherebbe.

Quello che mi sembra un po’ meno lecito (anzi, che non lo è affatto) è pensare che l’aumento di stipendio spetti semplicemente per anzianità di servizio o perché “è tanto che non lo ricevo”.

Un aumento di stipendio ha senso se lo si è meritato. Ha senso se lo si è guadagnato.

Presentarsi da chi di dovere, auto celebrandosi a gran voce, ma senza avere qualcosa di realmente concreto di cui parlare non solo penso sia inefficace, ma potrebbe addirittura essere controproducente.

Vi dico cosa farei io, se non altro perché alla fine non si discosta molto da quello che faccio con i clienti storici quando devo aggiornare un listino prezzi o quando mi rendo conto di avere sottostimato un preventivo (quest’ultimo caso capita raramente perché faccio questo mestiere da tanti anni e l’esperienza mi è di grande aiuto, ma in passato è capitato).

Preparerei un documento in cui farei un bell’elenco delle mansioni di mia competenza, degli obiettivi da raggiungere, dei vari incarichi e progetti a me affidati e delle relative scadenze. Poi, per ciascun punto, metterei nero su bianco i risultati raggiunti e se puntuali per ciascuna richiesta.
Al documento magari aggiungerei anche eventuali attività svolte e/o risultati ottenuti non espressamente richiesti.
E infine riporterei anche qualcosa di negativo avvenuto a causa mia o sotto la mia responsabilità (se qualcosa di negativo effettivamente c’è stato, ma immagino di sì: errare humanum est, prima o poi capita a tutti di sbagliare qualcosa).
Quindi: eventuali errori (più o meno gravi), ritardi nel raggiungimento degli obiettivi (o proprio mancato raggiungimento), atteggiamenti sbagliati e tutto quello che vi viene in mente e che potrebbe giocare a vostro sfavore.

E badate bene di non sottovalutare quest’ultimo punto, perché un po’ di autocritica non solo è segno di professionalità, ma potrebbe anche essere un prezioso aiuto per noi per riordinare le idee. Senza contare che nel corso di una trattativa con un superiore eventuali aspetti negativi verrebbero comunque fuori.

Una volta pronto,

questo documento ci sarà indubbiamente utile per fare un esame di coscienza e, magari, rendersi conto che non è il caso di avanzare richieste. Oppure, al contrario, sarà un prezioso strumento durante la discussione con i nostri superiori per convincerli dei nostri meriti.

fonte immagine: pixabay

di Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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