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Dal settore Punti di vista

Quanto e come viene percepito il lavoro dei reparti di ricerca e sviluppo?

Sono abbastanza convinto che chi, come noi, si occupa di ricerca e sviluppo si trovi spesso a riflettere non solo su quanto e come viene percepito il valore del nostro lavoro, ma anche sul fatto che venga davvero capito o meno.

Non molto tempo fa, per esempio, una importante azienda specializzata nel settore beauty si è presentata in MICROingranaggi per sottoporci un nuovo progetto. Un dispositivo a funzionamento elettrico studiato dal loro ufficio tecnico interno e in commercio da qualche anno, pur essendo apprezzato dalla clientela, è stato soggetto di osservazioni critiche da cui sono poi scaturite richieste di migliorie.
Non trovando soluzioni all’interno, l’azienda si è rivolta a MICROingranaggi per proporci una collaborazione.
Abbiamo accettato l’incarico, spinti, come il più delle volte accade, dalla curiosità di affrontare una nuova sfida, e pur consapevoli delle difficoltà che questo progetto, allora per noi ancora sconosciuto, avrebbe significato.
Dopo lo studio e le verifiche del caso, ci siamo messi al lavoro e abbiamo presentato al cliente le nostre prime idee inerenti, in buona parte, alla meccanica interna. Colpito dalle nostre osservazioni e proposte, il cliente ci ha chiesto in primo luogo di esporci sulla percentuale di miglioramento effettivo che il nostro progetto avrebbe apportato al prodotto, e, in secondo luogo, di costruire qualche prototipo per poter testare le nuove soluzioni. Solo a quel punto avrebbe emesso un regolare ordine di progettazione.

Ora, in questo specifico caso abbiamo accettato la proposta del cliente perché eravamo sufficientemente certi delle soluzioni da noi proposte e la faccenda si è chiusa lì. Ma non è questo il punto.
Dietro a tali richieste apparentemente logiche si cela, a mio avviso, una questione che non può essere ignorata: penso che a livello generale vi sia una certa difficoltà a comprendere e metabolizzare la funzione primaria di un reparto ricerca e sviluppo, vale a dire quella di trovare idee e soluzioni da sperimentare e per le quali non si può avere la certezza del risultato in anticipo.

Il modello economico con il quale ci rapportiamo oggi, purtroppo, richiede sempre più spesso che tecnici e progettisti sviluppino soluzioni innovative, a costo zero e già pronte da vendere. Ma la ricerca, a mio avviso, non dovrebbe essere questo. Dovrebbe, al contrario, implicare una sorta di fiducia da parte di chi commissiona il lavoro. Una fiducia che porti, a sua volta, a investire in persone qualificate senza pensare a un ritorno immediato dell’investimento. Chi si occupa di ricerca e sviluppo infatti, proprio per la natura del suo lavoro, dovrebbe avere anche la possibilità di sbagliare, proprio perché spesso e volentieri è in questo modo che accresce il bagaglio della sua esperienza e, di conseguenza, della conoscenza.

Molte aziende sono portate ad accettare ingenti investimenti in attività come ad esempio il marketing, ma faticano a credere veramente al finanziamento nella ricerca tecnica. A parole tutti ci credono, ma poi i fatti sembrano dire il contrario.
Voi cosa ne pensate?

di Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

2 risposte su “Quanto e come viene percepito il lavoro dei reparti di ricerca e sviluppo?”

Un’azienda che investe in ricerca e sviluppo sicuramente deve avere fatto del buon marketing; tutte le aziende effettivamente fanno marketing ma poche investono in ricerca e sviluppo ma questo è un tema molto ampio che si ricollega a molti altri tuoi post precedenti.

Se la ricerca e sviluppo è fatta da un reparto interno, allora a mio avviso, si ha più tolleranza nell’accettare criticità nascoste del progetto, costi occulti, tempi dilatati, incertezze tecniche nella definizione del progetto.

Se un’azienda si affida ad un partner esterno, non credo possa tollerare tutto questo.

Ti segnalo il mio punto di vista su come è vista la R&D esterna dalle aziende:

1) Proprietà e gestione riservatezza del progetto del cliente.
2) Costi certi, fissi e non modificabili da parte del fornitore.
3) Tempi di risposta e esecuzione del progetto stabiliti e da rispettarsi.

Secondariamente:
Un progetto che termina con la sola progettazione (senza prototipi, pre-serie e serie) è un progetto per certi versi fine a se stesso e non porta valore aggiunto al fornitore se non il mero compenso.
Il fornitore, qualora il committente esegua per proprio conto la produzione e gestione del processo produttivo, deve esigere almeno di conoscere l’esito delle prove sperimentali,eventuali non funzionamenti e resi e il riconoscimento almeno formale di partnership del progetto.

Tempi, esecuzioni, costi certi, esperienza in progetti similari sono fattori discriminanti e determinanti per la scelta del fornitore.

Il mio punto di vista è il seguente: impegnarsi solo in progetti esecutivi che prevedano la compartecipazione e condivisione del risultato committente/fornitore.

Quello che dici in parte è vero: un’azienda che ha un reparto R&D interno ha una maggiore tolleranza riguardo a costi, criticità e tempistiche. E viceversa.
Il punto, però, è proprio che, per sua natura, il mestiere di chi si occupa di ricerca e sviluppo il più delle volte non può prescindere dalla fase di sperimentazione con la conseguente possibilità di errore. Ne va della qualità del risultato finale, e, proprio per questa ragione, dovrebbe essere considerato un ‘male’ (ammesso che lo sia davvero) necessario.
Mi rendo conto che non sia semplice, ma, una volta trovato un partner valido, gli si dovrebbe dare fiducia con tutto ciò che ne consegue.

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