Quando mio padre, all’età di 11 anni, faceva il garzone dal ciclista del paese, mio nonno gli diceva: “Tieniti stretta questa opportunità, perché il ciclista è l’unico che ti può insegnare un lavoro senza voler essere pagato”.
Ebbene, era il 1932 e stiamo parlando di un’epoca che – correggetemi se sbaglio – NON esiste più. O, meglio, non dovrebbe esistere più.
Molto spesso infatti si sente purtroppo parlare di ristoratori in cerca di camerieri disposti a lavorare sei giorni a settimana per 8/10 ore al giorno a fronte di un compenso mensile di 800/1000 euro. O di studi legali che tengono giovani avvocati in “apprendistato” a 500 euro al mese o poco più per anni. E potrei fare tanti altri esempi analoghi.
In tutti questi casi, io resto sempre molto molto perplesso quando sento parlare di giovani che devono fare la “gavetta”. Perché un conto è offrire uno stipendio più basso perché la risorsa sta imparando un lavoro, un altro è sfruttare il lavoratore. E di sfruttamento, purtroppo, ne vedo parecchio.
Poi c’è un altro discorso molto affine, quello legato all’ambiente di lavoro. Ci sono ambienti così tossici, pieni di tensione, mancanza di rispetto, competizione, mobbing e via dicendo, da provocare al lavoratore una sorta di stress costante e difficile da gestire.
Ecco, è successo che
in questi ultimi anni tanti lavoratori o aspiranti tali hanno detto basta, lasciando posti che avevano da una vita perché eccessivamente tossici, oppure rifiutando proposte oggettivamente inaccettabili poiché equiparabili a sfruttamenti veri e propri.
L’innescarsi di queste dinamiche nuove è a mio parere molto positivo. Anche perché il focus del problema sono due temi estremamente importanti. I più importanti in assoluto: qualità del lavoro e retribuzione.
E qualità del lavoro e retribuzione non sono dettagli, sono i pilastri della sfera professionale.
Il mio parere è che il mercato del lavoro, fino a non molto tempo fa, si fosse un po’ assestato su certi standard (spesso troppo bassi) e in qualche modo andasse avanti per forza di inerzia. Lo scossone provocato dalla pandemia ha innescato una serie di dinamiche che reputo decisamente positive.
E proprio a proposito di queste dinamiche, faccio due considerazioni.
La PRIMA
Da tanti anni sono a capo di un’azienda e penso di trattare bene le mie risorse sotto tanti aspetti (quello della sicurezza, quello economico, quello legato al comfort dell’ambiente di lavoro e via dicendo). Tutto sommato, il fatto che ci siano imprenditori o datori di lavoro che si comportano all’opposto implica anche che sul mercato ci saranno sempre di più risorse valide in cerca di posti migliori. Questa dinamica, per realtà come la nostra, è certamente un’opportunità unica.
La SECONDA,
che, più che una considerazione, è un grande dubbio che mi assale. Anzi due.
Chi lascia un posto di lavoro “tossico”, poi cosa fa? Dove va?
E poi, chi ha lasciato il posto di lavoro “tossico” ha risolto il problema? Ha poi effettivamente migliorato il suo stile di vita? Ora si sente più realizzato/a e felice?
Mi piacerebbe conoscere la vostra esperienza in proposito…
Una risposta su “Qualità del lavoro e retribuzione non sono dettagli. Sono i pilastri della sfera professionale”
Avendo lavorato per la tua azienda confermo sicuramente la prima tua considerazione sulle maestranze, la qualità del lavoro e ambiente di lavoro.
Per la seconda considerazione, io ho lavorato in passato anche in aziende non particolarmente felici per il primo punto (tossiche per fortuna no) e la mia ambizione e speranza cambiando lavoro,è stata quella di trovare una collocazione migliore per la mia realizzazione professionale. Personalmente devo dire che tutti possono e devono ambire alla propria piena realizzazione in campo lavorativo che si trasmette poi anche in ambiti personali e famigliari.