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Tecnicamente parlando

Ha senso discutere di qualche micron nella produzione di MICROingranaggi?

Per come la vedo io, quasi sempre no, un senso non c’è. E non c’è perché non esiste pressoché nulla nel mondo della meccanica dove una variazione dimensionale di un micron possa cambiare le caratteristiche o la funzionalità di un componente.

Un micromètro (µm), più comunemente conosciuto come micron, è quella unità di misura derivata del Sistema Internazionale che corrisponde a un milionesimo di metro (cioè un millesimo di millimetro).
Ma non sono qui per spiegarvi che cos’è un micron, anche perché immagino che la gran parte di voi lo sappia molto bene.
Sono qui perché vorrei dare una risposta a una domanda che qualcuno mi ha fatto di recente:

ha senso discutere di qualche micron nella produzione di MICROingranaggi?

Per farvi capire esattamente di cosa si parla quando si fa riferimento a un micron, devo partire facendovi alcuni paragoni dimensionali. Un batterio, per esempio, misura da 1 a 10 micron. Un capello, invece, in genere ha lo spessore di 150 micron e un grano di sale di circa 500.

Tutto questo per dire che parlare di un micron è come parlare di un qualcosa di veramente poco tangibile (grande all’incirca, appunto, come un batterio).
Viene dunque da chiedersi

nella meccanica ha senso parlare di tolleranze dimensionali grandi quasi quanto un batterio? Per come la vedo io, quasi sempre no, un senso non c’è.

E non c’è perché non esiste pressoché nulla nel mondo della meccanica dove una variazione dimensionale di un micron possa cambiare le caratteristiche o la funzionalità di un componente.

Eppure capita molto spesso di vedere disegni con tolleranze millesimali che non sono necessarie. Tolleranze millesimali indicate dal disegnatore che – pur nella loro inutilità a livello di caratteristiche e funzionalità del prodotto finito – vanno a incidere moltissimo sul costo finale del manufatto, perché spesso non si possono ottenere neppure per ottimizzazione di processo, ma solo per selezione.
Mi spiego meglio. Chiedere una tolleranza così stretta che le attuali tecnologie e processi produttivi non hanno la ripetibilità necessaria per assicurare, significa – nella pratica – spingere il costruttore a procedere tramite selezione, vale a dire distinguendo e tenendo buoni solo i componenti conformi, e scartando quelli che non rispettano tali standard.

Per indicare in un disegno tolleranze nell’ordine del micron, servono nozioni tecniche che, in alcuni casi, non sono neppure conosciute dai disegnatori.

Per come la vedo io, quindi, il progettista che nel suo disegno indica tolleranze così strette, in genere lo fa perché non ha mai avuto la fortuna di entrare nel vivo della costruzione del manufatto a cui si sta riferendo.
Un’altra ragione può essere la mancanza di sicurezza e/o esperienza, che si traduce in un eccesso di prudenza, che finisce per andare a influire pesantemente sul costo finale del pezzo: metto una tolleranza molto stretta perché non conosco bene il prodotto che sto andando a fare, così sono sicuro di stare nel giusto. E invece…

C’è poi da considerare un altro aspetto. Per avere la certezza che, in una produzione da migliaia di pezzi, tutti siano in tolleranza, il processo produttivo dovrà consentire di contenere la tolleranza mediamente entro il 50% di quella richiesta. Questa precauzione assicura che le tolleranze indicate dal cliente siano rigorosamente rispettate, anche nel caso di verifiche a campione. Se il controllo, per esempio, verrà effettuato su un solo pezzo ogni 50, l’adozione di una tolleranza più stretta garantirà che, anche se uno dei 49 pezzi non analizzati dovesse discostarsi leggermente dalla tolleranza impostata dal costruttore, quelle indicate nel disegno del cliente saranno comunque ragionevolmente rispettate.

Premesso tutto questo, mi sento di affermare che non esiste un limite generico consigliabile in merito alle tolleranze che può avere senso indicare in un disegno, perché ogni settore di applicazione ha le sue esigenze e la scelta migliore è quella di affidarsi all’esperienza. Se l’esperienza manca, va necessariamente acquisita tramite la sperimentazione.

di Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

2 risposte su “Ha senso discutere di qualche micron nella produzione di MICROingranaggi?”

Condivido, complimenti veramente Stefano per come hai spiegato molto “semplicemente” un tema estremamente complesso e articolato.
Sposo in pieno le tue analisi e le tue conclusioni, solo chi ha una grande padronanza tecnica e teorica può comprendere. ere affondo quello da te descritto.

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