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Dal settore Punti di vista

In Italia abbiamo la cultura di investire per far crescere le risorse umane?

Nel nostro paese è molto più probabile incontrare imprenditori che diano grande importanza alle nuove tecnologie, che non imprenditori che attribuiscano il giusto valore alle risorse umane. E prima di salutarvi e augurare a tutti voi una buona estate, vorrei spiegarvi cosa intendo.

Alcuni giorni fa c’è stato l’ennesimo incontro tra imprese e Ministero dello Sviluppo Economico per discutere di come evolverà il Piano Industria 4.0 – Impresa 4.0. E questo è un fattore indubbiamente positivo. Durante l’incontro è emersa la necessità sempre più forte di incentivare – oltre che gli investimenti in tema di tecnologie – anche la formazione e il re-skilling di lavoratori, manager e imprenditori.

Perché questa forte esigenza? Perché, secondo me,

in Italia continua a mancare la cultura di far crescere le risorse.

Mi spiego meglio.

Vedo molti imprenditori sufficientemente motivati nell’investire in macchinari, attrezzature e persino immobili, ma purtroppo convinti che chi ha la macchina più performante vinca sulla concorrenza.

La vera differenza, a parer mio, la fanno invece i tecnici, i progettisti e tutte quelle figure professionali, diverse per ogni specifico ambito, che ruotano intorno a un’impresa.

Vi faccio un esempio pratico. Ci sono in Italia imprese manifatturiere grandi e strutturate che preferiscono assumere un numero elevato di progettisti, spesso fisiologicamente inesperti, e pagarli molto poco (soprattutto se paragonati a operai tecnici specializzati che – nella gran parte dei casi – arrivano a guadagnare anche il triplo), piuttosto che investire su un numero inferiore di tecnici che però siano bravi, preparati o comunque dotati di potenziale, e attribuire loro il giusto valore.
Queste imprese – che finiscono inevitabilmente per assistere a un gran turnover di personale, dove tanti tecnici bravi se ne vanno (perché pagati troppo poco) e molti progettisti poco capaci restano – sono le stesse che contemporaneamente investono fior fior di quattrini in tecnologia.

Ora, come ben sapete, non ho nulla in contrario con chi investe in tecnologia, anzi! Ma

non riesco proprio a capire chi preferisce circondarsi di tanti progettisti a basso costo nella speranza che – sul grande numero – qualcuno tiri fuori una bella idea su cui magari fare un brevetto (e guadagnare!), piuttosto che decidere di circondarsi di un numero inferiore di tecnici in cui credere e su cui investire nel lungo periodo.

Come? Facendo formazione e aggiornamento continuo.

E se – da un lato – è così che ragionano molte grandi aziende (senza voler chiaramente generalizzare), vedo anche molte piccole imprese propendere per scelte analoghe, partendo però da presupposti completamente diversi. Quindi piccole realtà che investono poco sulla formazione del personale, perché la ritengono inutile.

Ma come si può ritenere inutile la formazione del personale? La risposta è che,

dal punto di vista di molti imprenditori, se un’impresa funziona bene, il merito va attribuito a chi vi è a capo, e non anche alle risorse umane che ne fanno parte. Quindi tanto vale non investire proprio nella formazione.

Ed ecco, secondo me, l’altro errore clamoroso.
Sbaglio? Pensateci, ne riparliamo a settembre.

Buona estate a tutti!

di Stefano Garavaglia

È il CEO di MICROingranaggi, nonché l'anima dell'azienda.
Per Stefano un imprenditore deve avere le tre C: Cuore, Cervello, Costanza.
Cuore inteso come passione per quello che fa, istinto e rispetto per il prossimo. Cervello inteso come visione, come capacità a non farsi influenzare da situazioni negative. Costanza perché un imprenditore non deve mai mollare.

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